Cronaca

Brindisi, 20 anni fa la morte dei finanzieri Sottile e De Falco. E lo Stato piegò i “re” del contrabbando di bionde con l’Operazione Primavera

LA STORIA - Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio 2000, alle porte della città, i baschi verdi morirono speronati da due contrabbandieri a bordo di un mezzo corazzato. Lo Stato reagì dopo anni di tolleranza verso un fenomeno che fungeva da ammortizzatore sociale. Il ministro Bianco inviò in Puglia quasi 2mila uomini: in quattro mesi ci furono circa mille arresti e denunce, sequestri milionari e il traffico di sigarette dai Balcani venne smantellato

Sulla complanare all’altezza del santuario della Madonna di Jaddico, una manciata di chilometri a nord di Brindisi, dove la strada curva verso destra e sale leggermente, la stele in pietra recita così: “Mai l’uomo ha l’animo così sereno come quando ha svolto il proprio giusto lavoro”. Quello stavano facendo la notte tra il 23 e il 24 febbraio 2000, esattamente vent’anni fa, Alberto De Falco e Antonio Sottile, 33 e 29 anni, baschi verdi della Compagnia antiterrorismo pronto impiego. Vicebrigadiere il più anziano, finanziere scelto il secondo, erano in servizio sulle coste dell’Adriatico dove erano arrivati da Cosenza e Alife, paesino vicino a Caserta. Nel buio della sera, lungo la complanare della Statale 379, al chilometro 46+300, sedevano sui sedili anteriori di un Fiat Punto, alle loro spalle i colleghi Edoardo Roscica e Sandro Marras. È all’altezza di quella curva che si trovano di fronte una colonna di contrabbandieri di sigarette. Per anni, vista dal fronte dei “sigarettari”, quei faccia a faccia nella notte erano stati “un gioco a guardie e ladri”, come raccontano ancora oggi quando qualche trasmissione televisiva riaccende i riflettori sul traffico di bionde dalle coste dei Balcani a quelle della Puglia, che tra gli anni Settanta e Novanta fu tollerato perché divenuto un ammortizzatore sociale per un’intera provincia del Sud illusa dalla chimica e all’epoca lontana dalle rotte dei turisti. Il “gioco” però aveva fatto già diversi morti – Anna Pace, Ennio Petrosino, Rosa Zaza, Donato Sancesario – tra fughe e conflitti a fuoco lungo le strade della regione.

La morte di Sottile e Falco – Qualcuno in sede processuale tentò di trasformare in un banale incidente pure lo scontro tra la Range Rover guidata dal brindisino Giuseppe Contestabile, 29 anni, e sulla quale viaggiava anche Adolfo Bungaro, 39 anni, di Francavilla Fontana. Non andò così. L’impatto frontale tra il mezzo blindato dei contrabbandieri, zeppo di Merit appena sbarcate dall’altra parte dell’Adriatico, e la Fiat Punto con quattro finanzieri a bordo fu violento e dovuto a un tentativo di fuggire per salvare il carico. Alberto De Falco e Antonio Sottile morirono, Roscica e Marras furono fortunati e, pur riportando ferite gravissime, se la cavarono. Contestabile e Bungaro, protetti da un mezzo ‘preparato’ per speronare, ne uscirono praticamente illesi e si diedero alla fuga. “Prima o poi sapevano che sarebbe accaduto”, ripetevano i colleghi nelle ore successive. Che la guerra tra Stato e batterie di contrabbandieri fosse degenerata, del resto, era chiaro da tempo. Ma la risposta repressiva divenne imponente solo dopo il frontale alle porte di Brindisi che ridusse in poltiglia l’auto dei militari. La notte della svolta fu quella: l’uccisione di due uomini dello Stato segnò la fine del contrabbando.

In 2mila contro i contrabbandieri – Il ministro dell’Interno Enzo Bianco inviò nel Brindisino 1.900 unità operative tra carabinieri, poliziotti e finanzieri, oltre a uomini dell’intelligence. In 700 arrivarono dalla Brigata Tuscania, che negli anni precedenti aveva combattuto la mafia nell’operazione Vespri Siciliani. Quella in Puglia la chiamarono invece Primavera, perché l’obiettivo era riportare il sereno smantellando le squadre di contrabbandieri. Erano un esercito: almeno 5mila persone, ma c’è chi moltiplica per due quel calcolo realistico. Di certo, ci sono stati periodi in cui nella sola Brindisi sono state attive oltre 20 batterie dotate di potenti scafi per il trasporto dei carichi dal Montenegro e di mezzi pesanti e blindati, modificati per proteggersi la fuga, sui quali venivano trasferiti i cartoni di Marlboro e Merit dai punti di approdo sulla costa che correva da Acque Chiare fino a Savelletri di Fasano. Poi via, di corsa verso le “gubbie”, depositi sotterranei realizzati in aperta campagna, negli angoli più sperduti della provincia, che inghiottivano il tesoro. Per anni gli uomini delle forze dell’ordine si erano chiesti come facessero a dileguarsi durante gli inseguimenti, poi scoprirono quelle tanto rudimentali quanto efficaci batcaverne.

Le batterie, da Bar alle ‘gubbie’ – L’organizzazione dei contrabbandieri era strutturata. Una cinquantina di persone per squadra: un gruppo ristretto si occupava del trasferimento della merce dai depositi agli scafi, in gran parte ormeggiati a Bar e a Zelenica. Arrivati al di qua dell’Adriatico si mettevano al lavoro scaricatori, vedette, autisti e custodi dei depositi. Una catena che, mediamente, valeva circa 300 milioni di lire a viaggio. Centomila lire andavano agli scaricatori, spesso giovani che cercavano “la giornata” e padri di famiglia senza un impiego. “Lavoro alle sigarette”, si diceva a mezza voce ma senza pudore. Altri introiti e altra caratura, gli scafisti: tre milioni a tratta. Poi c’era chi le sigarette le vendeva, ad ogni angolo di strada. E i tabacchi lavorati esteri, a prezzo scontato perché senza marchio dei Monopoli di Stato, erano una livella: si fermavano tutti a comprarli, dall’operaio al professionista. Capitava di tanto in tanto che i colletti bianchi “puntassero” sul carico: scommettevano cioè sul suo arrivo in Puglia, di fatto finanziandolo. Se tutto filava liscio, il guadagno era facile e assicurato. Ma nei casi in cui la Finanza aveva la meglio in mezzo all’Adriatico e il carico veniva sequestrato o gettato in mare, addio soldi. Funzionava così nella città capoluogo, ma anche a Ostuni e Fasano, altri centri nevralgici del contrabbando.

Le famiglie e il pizzo della Scu – Un affare miliardario per chi, come le famiglie Morleo, D’Oriano, Prudentino e Sabatelli era al vertice del traffico di bionde e ne controllava le rotte, non disdegnando in alcuni casi contatti e legami con uomini dei clan di Camorra e Cosa Nostra, come i Mazzarella e Pietro Vernengo, figura di spicco della famiglia di Santa Maria del Gesù. La situazione divenne più complessa dal 1996, quando la Sacra corona unita entrò a pieno titolo nel controllo del traffico. E sugli scafi comparvero armi e droga. Chi continuava a contrabbandare sigarette doveva pagare agli uomini della Scu una tangente di 10mila lire per ogni cassa sbarcata. Fino alla morte di Alberto De Falco e Antonio Sottile. Dai giorni successivi crollò tutto. L’Operazione Primavera iniziò meno di una settimana dopo e durò fino al 30 giugno.

I numeri dell’Operazione Primavera – In poco più di quattro mesi vennero arrestate 537 persone, 461 quelle denunciate. Nel Brindisino furono sequestrati oltre 32 tonnellate di sigarette, mezzo quintale di esplosivo, 47 fuoristrada blindati, 20 scafi, 223 autovetture e 24 depositi. Gli uomini spediti da Bianco scovarono e distrussero nelle campagne le stazioni radio con le quali venivano ripetuti i segnali criptati per gestire gli sbarchi. Tra servizi di pattugliamento e rastrellamento, la struttura contrabbandiera che aveva dato a Brindisi il soprannome di Marlboro City era stata smontata in poco più di cento giorni dopo anni di tolleranza. Il procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna disse che l’operazione aveva “determinato un ritiro dalla zona pugliese” e “la conseguente deviazione delle rotte altrove”. I “sigarettari”, come dimostrano alcune intercettazioni telefoniche dell’epoca, tentarono di trasferirsi in Molise e Abruzzo. Con scarso successo.

Dalla Puglia alla Svizzera – Ma i contrabbandieri com’erano arrivati a controllare una fetta di economia sommersa? All’estero, sfruttando agganci politici in Montenegro, i capi agivano indisturbati in una sorta di “zona franca” e accumulavano capitali in Svizzera. Un’accusa che per anni ha inseguito l’ostunese Francesco Prudentino, detto Ciccio La Busta, il re delle bionde, a lungo latitante nell’Est Europa e poi catturato a Salonicco. “Sono un pescatore di sarde”, rispose una volta al giudice del Tribunale di Lugano Roggero Will che lo aveva chiamato in aula nell’ambito di un processo per corruzione passiva nel quale erano coinvolti il boss del contrabbando Gerardo Cuomo e il giudice ticinese Franco Verda, deceduto nel 2004. In Italia, intanto, gli impegni di collaborazione firmati da governo e multinazionali del tabacco rimanevano sulla carta, o quasi. Il 17 gennaio 1992 la Philip Morris aveva concordato, come ricordano alcuni documenti della Camera, sulla necessità di apporre “su tutte le produzioni di sigarette della stampigliatura indicante lo stabilimento di produzione”, nonché “una numerazione che rendesse possibile la identificazione dei ‘primo acquirente’ di ogni scatolone” e aveva preso l’impegno a collaborare “per individuare il primo acquirente dei prodotti sequestrati”. Non solo: “nel caso in cui i sequestri di una marca fossero risultati superiori allo 0,18 per mille dell’intero quantitativo delle sigarette della stessa marca venduto in Italia nell’anno solare precedente” si era decisa “l’immediata interruzione delle forniture a tale ‘primo acquirente'”.

Quella repressione mancata – Qualche risultato arrivò, con la sospensione della vendita di alcune marche di sigarette, ma nell’agosto 1993 la “funzione di deterrenza economica” e di “perdita di immagine per le imprese internazionali” si era già “attenuata” perché l’obbligo di stop alla commercializzazione si trasformò in una “semplice facoltà” che all’inizio del 1994 venne addirittura “soppressa”. Restavano, invece, gli obblighi di vigilanza e numerazione. Ma – si legge sempre nei documenti della Camera – “questa normativa non ha trovato piena attuazione perché il Direttore Generale dei Monopoli di Stato non ha mai inviato ai produttori internazionali interessati le lettere di contestazione per le violazioni di legge”. Sul caso, riferì l’allora direttore dei Monopoli di Stato, Vittorio Cutrupi, ricordando che “sarebbe importante sapere qual è stato il primo acquirente per andare poi a definire, attraverso un’attività di intelligence, i traffici del contrabbando” ma “questo manca perché in quel benedetto provvedimento legislativo di riferimento (…) c’era scritto ‘sentiti i produttori’ e questi all’epoca non furono mai sentiti” e “hanno sempre sostenuto di non essere mai stati interpellati per stabilire le modalità”. Un rimpallo sul quale i contrabbandieri hanno continuato a fare affari fino all’inizio del nuovo millennio, ingrossando i propri conti e godendo di un senso di impunità coltivato per decenni.

L’operazione e il dopo – Fu anche così che l’andirivieni di scafi dal Montenegro al Brindisino divenne un’emergenza nazionale, spazzata via in tre mesi. Solo dopo arrivarono misure adeguate per fronteggiare le jeep corazzate che correvano a fari spenti lungo le strade della provincia. Il 19 marzo 2001 entrò in vigore l’articolo 337bis del codice penale che, ancora oggi, punisce con pene da 2 a 5 anni di carcere chi occulta o custodisce mezzi di trasporto con “alterazioni o modifiche” o “predisposizioni tecniche” tali da rappresentare un “pericolo per l’incolumità fisica” delle forze dell’ordine. Nel frattempo i contrabbandieri avevano in larga parte dismesso i loro traffici. In tanti chiedevano, già prima, un “lavoro vero” e fu un fiorire di società municipalizzate. In molti hanno ripreso una vita onesta, altri no, in pochi si stanno godendo soldi sfuggiti ai radar della giustizia e riciclati in attività commerciali. Sono centinaia i milioni di euro sequestrati e confiscati nel corso degli anni ai principi delle bionde. Giuseppe Contestabile e Adolfo Bungaro sono stati condannati in primo grado a 10 anni per l’omicidio di Antonio Sottile e Alberto De Falco. L’allora pm Isabella Ginefra, ora a capo della procura di Larino, aveva chiesto per loro 26 e 20 anni di reclusione. La figlia di De Falco, Eleonora, oggi è un’agente di polizia in un commissariato calabrese. “Volevo diventare come papà. Il suo sacrificio ha cambiato una parte del Paese. Ricordare è doloroso, ma necessario”, ha raccontato a Ilfattoquotidiano.it. Le ultime stime della Guardia di Finanza indicano che il commercio illecito di tabacchi lavorati esteri produce un danno erariale pari a 700 milioni di euro l’anno e, secondo Ipsos, il 5,6% del totale dei pacchetti in circolazione sul nostro territorio non contribuiscono alle casse dello Stato. Accade più spesso in Friuli Venezia-Giulia che in Campania e Puglia. Nel frattempo, una parte della normativa sul contrabbando semplice si è fatta più leggera e nel 2016 il reato è stato in parte depenalizzato. Il risultato è ormai raggiunto da tempo e consolidato. A Brindisi e in provincia ancora oggi non è tutto rose e fiori, ma è tornata la primavera.

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Tutte le foto sono di Max Frigione