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Uccide brutalmente la fidanzata di 25 anni e getta i suoi resti nel water: media pubblicano le immagini, scoppia la protesta. Centinaia di donne scendono in piazza

Le autorità hanno preso posizione contro i media per la pubblicazione delle fotografie e hanno annunciato l'apertura di un fascicolo di indagine nei confronti di alcuni poliziotti che avrebbero ripreso la scena del crimine con i loro telefoni cellulari e poi offerto le immagini a tv e giornali che le hanno pubblicate

Non staremo zitte“. È questo lo slogan scandito dalle centinaia di donne che sono scese in piazza in questi giorni a Città del Messico per protestare contro l’ennesimo nuovo caso di femminicidio nel Paese, avvenuto il 14 febbraio. Una ragazza di 25 anni, Ingrid Escamilla, è stata ammazzata brutalmente dal compagno che poi ha telefonato alla ex per raccontarle quanto accaduto. L’uomo è stato arrestato e alla polizia ha confessato di aver ucciso la fidanzata a coltellate e di aver poi mutilato il suo corpo, gettandone alcune parti nel water, come riferisce la Cnn. Ma l’indignazione è aumentata quando i media locali hanno pubblicato le fotografie del cadavere della vittima, fatte trapelare da agenti della polizia, definendo l’omicidio “colpa di Cupido”.

Le manifestanti hanno letto una dichiarazione, in cui affermano: “Ci fa rabbia come Ingrid è stata uccisa e come i media hanno esposto il suo corpo. Ci fa rabbia che la gente ci giudichi dicendo ‘questo non è il modo giusto di esprimere la rabbia’. Non siamo pazze, siamo furiose”. Anche le autorità hanno preso posizione contro i media per la pubblicazione delle fotografie e hanno annunciato l’apertura di un fascicolo di indagine nei confronti di alcuni poliziotti che avrebbero ripreso la scena del crimine con i loro telefoni cellulari e poi offerto le immagini a tv e giornali che le hanno pubblicate. Il ministro dell’Interno ha fatto sapere di “condannare la pubblicazione e diffusione di questo materiale, dato che ri-vittimizza le persone e promuove il sensazionalismo e la curiosità morbosa. È un attacco alla dignità, privatezza e identità delle vittime e delle loro famiglie”.