Cronaca Nera

Lecce, bambino scomparso nel nulla 43 anni fa: c’è la svolta. Indagato presunto pedofilo per omicidio e occultamento di cadavere

Dopo 43 anni dalla scomparsa e due inchieste naufragate, arriva la svolta nel caso del piccolo Mauro Romano, rapito a sei anni da Taviano, in provincia di Lecce. Indagato per omicidio volontario e occultamento di cadavere il 69enne arrestato martedì per pedofilia su un gruppo di ragazzini tra gli 11 e i 14 anni.

Uno dei gialli mai risolti in Puglia potrebbe essere prossimo alla svolta: per la scomparsa di Mauro Romano, rapito a sei anni il 21 giugno 1977, è stato iscritto sul registro degli indagati il 69enne che, martedì, è stato arrestato perché secondo l’accusa ha commesso abusi su almeno 17 ragazzini, a Taviano, in provincia di Lecce. Storie che viaggiano in parallelo ma che potrebbero avere il punto di contatto nella pista della pedofilia. L’anziano, A.S., per il caso di Mauro risponde ora di omicidio volontario e occultamento di cadavere aggravati dalla minore età della vittima. Come anticipato da ilfattoquotidiano.it, l’inchiesta è stata riaperta dopo la richiesta avanzata dai genitori del bambino, Bianca Colaianni e Natale Romano, che nel pomeriggio di oggi saranno ascoltati dal pm Stefania Mininni, titolare del fascicolo. “Hanno altro da dire e pare che si apriranno altri fronti”, chiosa Antonio La Scala, il loro avvocato.

Sulla scomparsa di Mauro sono già naufragate due inchieste, che avevano visto indagate altre persone. L’ipotesi più accreditata, allora, fu quella del rapimento a scopo di estorsione. Poco credibile, però: la famiglia non era facoltosa, non avrebbe mai potuto permettersi il pagamento di 30 milioni di lire. L’unica certezza, tuttavia, in questi 43 anni di buio, è stato un punto fermo posto da una sentenza divenuta definitiva nel 1984: A.S., cioè lo stesso uomo arrestato tre giorni fa per violenza sessuale su minorenni e pedopornografia, venne condannato a quattro anni e sei mesi per tentata estorsione. Con sette telefonate, chiese ai coniugi Romano di consegnare 30 milioni di lire per riavere il figlio. Parlava al plurale, diceva che potevano dare prova del fatto che Mauro fosse ancora vivo, tagliandogli un dito della mano o un orecchio, per spedirlo ai suoi. Chiedeva di fare presto: “Mauro non sta bene, prova dolore, gli stiamo dando morfina e cianuro”. Venne sorpreso dai carabinieri in una cabina della Sip, al termine dell’ultima drammatica telefonata: “Se non vi affrettate a portarmi i soldi, ve lo faremo trovare in un pozzo”.

E un pozzo gli investigatori, nel dicembre scorso, sono andati a esplorare, alla ricerca di ossa. Un pozzo ben preciso: è nel terreno su cui sorge il casolare nel quale l’anziano incontrava i ragazzini tra gli 11 e i 14 anni che, almeno da gennaio 2018 ad aprile 2019, avrebbe adescato e abusato, attirati con la scusa di dar loro uno spazio in cui giocare a carte e lezioni su come fare per conquistare le ragazze. È stato scoperto in flagrante da uno dei genitori che, allarmato dalle voci di paese, ha seguito il figlio, trovandosi di fronte alla scena che non avrebbe mai voluto vedere: quell’uomo stava baciando un amichetto del figlio, ma gli approcci sarebbero stati anche molto più spinti, fino a palpeggiamenti, rapporti orali e rapporti completi.

Nelle memorie di telefoni e computer sequestrati ad A.S. oltre che nelle chat con i bambini, ci dev’essere stato un indizio che ha portato gli inquirenti verso quel pozzo e verso quell’uomo, per tentare di riannodare i fili della storia di Mauro. Il riserbo è massimo. E anche dai genitori del bambino ci si aspetta, ora, l’aggiunta di qualche altro tassello: “Vogliono raccontare al pm qualcosa in più che all’epoca non hanno detto, per paura, per timore o forse perché praticavano una religione, quella dei Testimoni di Geova, da cui poi si sono dissociati”, ha annunciato due giorni fa al fattoquotidiano.it il loro legale.