Cronaca

Strage Rapido 904, Mattarella: “Fu tentativo di ricatto della mafia allo Stato. La memoria rafforza doveri costituzionali della solidarietà”

Trentacinque anni fa l'attentato al treno Napoli-Milano che esplose all'altezza di San Benedetto Val di Sambro: morirono in 16. Il capo dello Stato esprime vicinanza a chi si impegna per trasmettere il ricordo "in modo che non si dimentichi mai la crudeltà dell'attacco eversivo, sferrato contro le istituzioni democratiche e la convivenza civile e si faccia tesoro della risposta ferma e unitaria del popolo italiano"

“La memoria di tante vittime innocenti rafforza il dovere per le istituzioni, per gli organi dello Stato, per tutta la società civile di rispettare continuamente i valori di civiltà, di libertà, di solidarietà che sono la base della nostra Costituzione“. Sono le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per ricordare il 35esimo anniversario della strage del Rapido 904, il treno che – partito da Napoli e diretto a Milano – nella grande galleria dell’Appennino a San Benedetto Val di Sambro (Bologna) fu dilaniato da un’esplosione di matrice mafiosa. La commissione Stragi lo ha indicato come un episodio anticipatore della guerra di mafia dei primi anni Novanta.

“Il Natale del 1984 – dice il presidente Mattarella – venne sconvolto da quella bomba, collocata su un treno affollato di cittadini che si preparavano alle festività. Le indagini e i processi accertarono una matrice mafiosa, un tentativo di ricatto allo Stato contro l’azione di contrasto alla criminalità organizzata“. Il 23 dicembre, dice Mattarella nel suo messaggio, “è un giorno di memoria e di raccoglimento per la nostra comunità nazionale”. “Le vite spezzate di passeggeri inermi, alcuni dei quali bambini, le sofferenze dei tanti feriti, l’atroce dolore patito dai familiari hanno impresso un segno indelebile nella storia della Repubblica”. Il presidente della Repubblica esprime “vicinanza e solidarietà a quanti sono stati così profondamente colpiti negli affetti più cari e a coloro che continuano a impegnarsi per trasmettere il ricordo ai più giovani, in modo che non si dimentichi mai la crudeltà dell’attacco eversivo, sferrato contro le istituzioni democratiche e la convivenza civile e, al tempo stesso, si faccia tesoro della risposta ferma e unitaria del popolo italiano che ha sconfitto la strategia del terrore“.

Era il 23 dicembre 1984: morirono 16 persone (i più piccoli avevano 9 e 4 anni, Anna e Giovanni De Simone), 267 rimasero ferite. Inchieste e processi furono molto lunghi e solo nel 1992 la Cassazione riuscì a confermare la matrice terroristico-mafiosa dell’attentato: tra i condannati all’ergastolo anche il boss di Cosa Nostra Pippo Calò. Tra gli imputati anche un deputato del Movimento Sociale, Massimo Abbatangelo, che fu condannato a 6 anni per aver consegnato l’esplosivo a Giuseppe Misso, capoclan di camorra con simpatie neofasciste, che però fu assolto per la strage. Per mancanza di prove, nel 2015, fu assolto il capo di Cosa Nostra Totò Riina.

La lentezza delle inchieste e le contraddizioni dei processi furono “anticipati”, profeticamente, dall’allora capo dello Stato Sandro Pertini che nel suo ultimo messaggio di fine anno nel 1984 sottolineò: “Cinque stragi abbiamo avuto, tutte lo stesso marchio d’infamia, e i responsabili non sono stati ancora assicurati alla giustizia. I parenti delle vittime, il popolo italiano non chiedono, come qualcuno ha insinuato, vendetta, ma chiedono giustizia“. Le vittime e le loro famiglie non hanno mai avuto alcun risarcimento in ambito civile.