Mafie

‘Ndrangheta, arrestato il boss Domenico Crea: era latitante dal 2015. Dovrà scontare 21 anni di carcere per associazione mafiosa ed estorsione

Si trovava in una villetta a Santa Domenica di Ricadi, in provincia di Vibo Valentia, con la moglie e le due figlie. Il figlio del patriarca Teodoro Crea è ritenuto dagli inquirenti il capo della consorteria mafiosa di Rizziconi, collegata e imparentata con la potente famiglia Alvaro di Sinopoli

Si trovava in una villetta a Santa Domenica di Ricadi, in provincia di Vibo Valentia, con la moglie e le due figlie. È finita così la latitanza di Domenico Crea, figlio del patriarca di Rizziconi, il boss Teodoro Crea. La squadra mobile di Reggio Calabria, supportata dagli agenti dello Sco e della questura di Vibo, lo ha arrestato stamattina all’alba al termine di un’indagine avviata nel 2015 quando il boss di 37 anni, si è dato alla macchia in seguito alla sentenza di condanna, in primo grado, nel processo “Toro”.

All’epoca, a Domenico Crea erano stati inflitti 15 anni di carcere per diversi reati tra cui associazione mafiosa ed estorsione. Da allora, Domenico Crea è stato colpito da numerosi provvedimenti restrittivi per associazione mafiosa ed estorsione ed è stato condannato in via definitiva, il 4 aprile scorso, a 21 anni di reclusione.

Dagli inquirenti è ritenuto il capo della consorteria mafiosa di Rizziconi, collegata e imparentata con la potente famiglia Alvaro di Sinopoli. Gli agenti della squadra mobile, guidati Francesco Rattà, hanno avuto la certezza giovedì sera della presenza del latitante all’interno della villetta. Eseguiti i servizi di osservazione, stamattina è scattato il blitz: Domenico Crea era in compagnia della moglie e delle due figlie minori ed è stato trovato in possesso di 5mila euro in contanti.

Adesso gli inquirenti stanno verificando la posizione dei due coniugi proprietari dell’immobile che era stato messo a disposizione del boss. Dopo la cattura nel gennaio 2016 di suo fratello Giuseppe, anche lui ex latitante, Domenico Crea ha assunto il ruolo di capo indiscusso della cosca. All’epoca, il fratelo Giuseppe era inserito tra i 10 ricercati più pericolosi d’Italia. Non è un caso che si nascondeva in un bunker dove la polizia aveva rinvenuto un vero e proprio arsenale.