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C’è una ragazza che “muore” in luoghi affollati o vicino a monumenti celebri: ecco perché

Si chiama Stephanie Leigh Rose. Una giovane artista/fotografa che si è inventata una curiosa forma di protesta attraverso la fotografia e la body art, riassunta nella sua pagina web Stefdies con propaggini social su Instagram

Una folla in primo piano in mezzo a un prato e lei dietro, a due metri, spiaccicata per terra con la faccia tra le margherite. Un tizio si fa un selfie in una hall di un albergo pacchiano e ancora lei a pochi passi sdraiata come morta con viso e corpo schiacciati su un tappeto. Una bella piazza piena di gente e ancora lei supina, lunga e distesa, spiaccicata sul selciato di sampietrini. La ragazza che spesso “muore” in luoghi affollati di persone, o sotto, vicino, di fianco a monumenti celebri si chiama Stephanie Leigh Rose. Una giovane artista/fotografa che si è inventata una curiosa forma di protesta attraverso la fotografia e la body art, riassunta nella sua pagina web Stefdies con propaggini social su Instagram.

Le mie foto sono degli antiselfie”, ha spiegato la ragazza, “Nell’epoca dei selfiestick-kardashian- youtube-Photoshop-meme abbiamo dimenticato il valore del fare (e del fare tesoro) di una fotografia”. Nessuna luce artificiale, nessun autoscatto, nessuna ricerca ostentata della posa. Stephanie raggiunge il luogo in cui rubare una foto, si getta per terra e subito un click, possibilmente senza troppe ripetizioni, “buona la prima”, proprio come una volta quando non c’era il digitale. Sul sagrato di Notre Dame (ancora con guglia), tra i regali prati dei giardini delle Tuileries con sfondo torre Eiffel, in mezzo ai corridori della Maratona di Parigi sulle rive della Senna, ma anche di fianco al Vittoriale romano, ai piedi si Santa Claus in Lapponia, tra le rocce del Golden Gate di San Francisco.

Sempre magnificamente spiaccicata faccia a terra, e con quei lunghi capelli neri sparsi alla perfezione, Stephanie rinnova continuamente la scintilla di sorpresa e di estemporaneità di uno scatto fotografico non più auto celebrativo di sé, ma della propria ridicola e buffa morte. “Non voglio essere connessa io stessa alla macchina fotografica, ma piuttosto essere un oggetto davanti all’obiettivo”. Un ribaltamento radicale della cultura del selfie che tocca picchi estetici/etici altissimi. Magnifiche quelle vere e proprio nature morte tra le rocce di una montagna, sulla sabbia di un bagnasciuga in spiaggia, o quando, ricordando i (poveri) cavalli di Kaputt, quelli che Maurizio Cattelan espose a Basilea nel 2013, Stephane rimane come incastrata con la testa per terra, sempre spiaccicata con l’intero corpo di traverso sull’uscio di un antico bagno pubblico di San Francisco. Uno scatto per palati, pardon nasi forti.