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Riotta: “La scarsa qualità dei romanzi italiani? Riflette un mercato librario avido di giallacci volgari, malscritti”. Ah sì?

“Il presidente del premio Strega lamenta la scarsa qualità dei romanzi italiani”. E “ha ragione – scrive Gianni Riotta in un tweet – ma riflette la situazione morale corrente nel paese e un mercato librario avido di giallacci volgari, malscritti da mediocri autori". Sarebbe però molto curioso, a questo punto, sapere a chi si riferisce il giornalista

I libri gialli, che volgarità! Signora, lei che legge quel Malvaldi in metropolitana, lo metta giù, lo nasconda dentro la borsa. Su, su, faccia in fretta, prima che la veda Gianni Riotta. Dice, Riotta, che “il presidente del premio Strega lamenta la scarsa qualità dei romanzi italiani”. E “ha ragione – continua in un tweet – ma riflette la situazione morale corrente nel paese e un mercato librario avido di giallacci volgari, malscritti da mediocri autori”.

Mettiamo in un angolo “la situazione morale corrente nel paese” che dà l’impressione di essere una frase buttata lì, come “una volta qui era tutta campagna”. Concentriamoci semmai sui “giallacci volgari, malscritti da mediocri autori”. Perché il sospetto che la grande rosa di intellettuali che assegna il Premio Strega non avesse una grande passione per i gialli s’era fatto strada da tempo. Basta ripercorrere i candidati finalisti e i vincitori delle edizioni recenti per rendersene conto. La letteratura di genere se ne sta fuori dalla porta e figuriamoci il giallo, considerato da sempre un ‘genere minore’. Capito, Agatha, George, sir Arthur? D’altronde i “giallacci” si vendono da soli e non hanno bisogno della “pecetta” del Premio per avere una spintarella negli scaffali delle librerie.

Sarebbe però molto curioso, a questo punto, sapere a chi si riferisce Riotta. Forse a Marco Malvaldi, che con il suo BarLume offre qualche ora di pensosa spensieratezza, una prosa invidiabile, personaggi ai quali ci si affeziona e trame semplici ma godibili? Oppure al clamoroso successo letterario e mediatico del cannaiolo vicequestore Rocco Schiavone inventato con arguta prosa da Antonio Manzini? Ancora: all’improvvisato detective Carlo Monterossi creato da Alessandro Robecchi mescolando il trash tv ad una Milano nera da antologia? O ad Andrea Camilleri, che da anni intrattiene gargantuesche quantità di lettori con il suo Montalbano? Su Camilleri pare quasi superfluo aggiungere altro. Se non che alcuni dei finalisti di qualsiasi Premio Strega degli ultimi vent’anni potrebbero con onore fargli da scendiletto, al mattino.

Certo, immaginiamo che ci siano anche dei “giallacci”, come ci sono dei “romanzacci”, dei “saggiacci”, e soprattutto dei “libracci”. Ma trattandosi di Premio Strega, Riotta avrà tenuto in considerazione dei romanzi che possano competere con i dodici (bei?) titoli che a giugno prossimo si tramuteranno in cinquina finalista. E ne avrà letti così tanti, di gialli, da potersi fare un’idea ed esprimerla in modo così tranchant. O no? Il dubbio viene. In fondo stiamo parlando di un Premio così cosmicamente lontano dalle classifiche di vendita da mandare in finale (quasi sempre) titoli che conoscono in pochi, nonostante la macchina pubblicitaria che il Premio stesso rappresenta.

Guai a preferire e promuovere quello che legge la massa, guai a essere pop. Figli di un dio minore. Paria letterari, appestati e incivili. Eppure l’articolo 5 dello Strega parla chiaro: “Il premio è assegnato annualmente a un libro di narrativa scritto in lingua italiana”. Forse alla Fondazione Bellonci farebbe solo bene inserire la letteratura di genere. Mettere in lizza qualche giallo scritto da mirabili scrittori. E vendutissimo, magari. Perfino in autogrill. Una raccomandazione, però. Se vi venisse mai voglia di comprare l’ultima storia di Montalbano o un Lucarelli d’annata mentre state pagando il Camogli all’autogrill del Cantagallo, occhio che non ci sia Riotta alle vostre spalle.