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Macron, tour in Africa orientale: in Gibuti per contrastare protagonismo della Cina. Poi Etiopia e Kenya con 8 capi azienda

Dietro il viaggio del presidente francese a Gibuti si intravede la volontà di rispolverare l’immagine appannata di Parigi come protettrice del piccolo Stato, alleato storico e sempre più ambito in quanto avamposto nel Corno d'Africa. Ad Addis Abeba strette partnership in tema di tutela del patrimonio culturale e di difesa. Prima assoluta di un capo di Stato francese a Nairobi: bilaterale con Kenyatta sulla sicurezza

Emmanuel Macron alla scoperta del Corno d’Africa. Ieri Nairobi è stata ultima tappa del nuovo viaggio del presidente francese: dopo numerose trasferte in Africa occidentale, nei giorni scorsi il capo dell’Eliseo è sbarcato per la prima volta in assoluto in Africa orientale. Atterrato lunedì sera a Gibuti, martedì ha proseguito alla volta dell’Etiopia, per atterrare ieri in Kenya.

Ritorno a Gibuti

Obiettivo dichiarato della tappa, rinnovare il sostegno allo storico partner della Francia nel Corno d’Africa, mentre la regione è nel pieno del riassetto degli equilibri geopolitici. L’ultimo presidente francese a recarsi nel piccolo Gibuti (che conta meno di un milione di abitanti ed è un’ex colonia francese) era stato Nicolas Sarkozy, nel 2010.

In passato, si era registrata una brusca frenata nei rapporti bilaterali dovuta all’affaire Borrel, l’omicidio del magistrato francese Bernard Borrel avvenuto a Gibuti nel 1995, mai chiarito e tutt’ora oggetto di indagine da parte della magistratura francese. Il tempo e il pragmatismo degli interessi nazionali hanno però ora spinto i due Paesi al riavvicinamento.

Scegliendo di passare anche la notte a Gibuti, Macron è andato anche oltre la passata breve visita di Sarkozy, dimostrando di voler davvero voltare pagina. François Hollande, invece, aveva ricevuto a Parigi l’omologo Ismaël Omar Guelleh (al potere dal 1999) solo a fine mandato, in un incontro riservato e senza dichiarazioni ufficiali, durante il quale pare avesse ottenuto dal presidente gibutiano le lamentele per l’“abbandono” da parte della Francia del piccolo Paese africano.

Martedì mattina, Macron ha avuto un colloquio con Guelleh, poi si è recato in visita alla base militare francese, che con i suoi 1450 uomini è il più nutrito contingente francese in Africa. Non a caso, nella delegazione francese erano presenti la ministra della Difesa Florence Parly e il presidente della Commissione difesa nazionale dell’Assemblea Nazionale, Jean-Jacques Bridey.

Un tempo sola presenza militare estera, ormai vi si sono affiancate una base statunitense (Camp Lemonier, l’unica base permanente americana nel continente, con circa 5mila uomini), una giapponese (l’unica in tutto il mondo al di fuori dei confini nazionali) e – ultima arrivata – anche una cinese, che oggi ospita 5/6mila marines, ma quando sarà a regime potrà accoglierne 10mila. Dal 2013, presente anche una base italiana multiforze, la BMIS (Base Militare Italiana di Supporto), con un organico attorno ai cento uomini, ma che può ospitarne fino a 300. Presenti anche spagnoli e tedeschi, ospitati nella base francese. Da ultimo, è da poco stato stipulato un accordo per la costruzione della prima base navale estera dell’Arabia Saudita, che l’ha fortemente voluta anche in chiave anti-yemenita.

In tutto questo fermento, i militari francesi, sempre presenti dall’indipendenza, sono progressivamente diminuiti: 4300 nel 1978, 2400 negli anni Duemila, oggi 1450, il minimo indispensabile per assicurare la tenuta degli accordi di difesa rinnovati nel 2011. Anche per questo, dietro il viaggio di Macron si intravede la volontà di rispolverare l’immagine appannata della Francia come protettrice di Gibuti, alleato storico e sempre più ambito: il piccolo stato ha pochi abitanti, ma è sovraffollato di militari di mezzo mondo, complice la sua posizione strategica, proprio di fronte allo Yemen, alla confluenza fra Golfo di Aden e Mar Rosso, passaggio obbligato per il Canale di Suez da cui transita circa un terzo delle esportazioni mondiali. Non solo: da Gibuti si può avere un occhio vigile sul Corno d’Africa, sulla Penisola Arabica e sul Golfo. Essere presenti in questo piccolo ma cruciale angolo diventa sempre più imprescindibile, per le potenze mondiali. E a Gibuti, povero di risorse naturali, la presenza di militari stranieri e l’affitto delle basi fa comodo, essendo ormai una delle più cospicue entrate nelle casse statali.

Al centro dei colloqui fra Macron e Guelleh – viene fatto sapere – anche lo storico riavvicinamento fra Etiopia ed Eritrea, che rimette in discussione gli equilibri della regione. Gibuti è preoccupata di perdere terreno nella geopolitica regionale e cerca di mantenere voce in capitolo. L’eventuale rottura dell’isolazionismo eritreo sottrarrebbe a Gibuti il ruolo di unico porto sicuro del Corno d’Africa. Non solo: a metà novembre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha votato la rimozione delle sanzioni all’Eritrea, senza che però sia stato chiarito il contenzioso territoriale con Gibuti riguardo a Ras Doumeira, un promontorio strategico che sovrasta  l’ingresso nel Mar Rosso. E le autorità chiedono alla Francia di mantenere viva l’attenzione sulla questione.

Un argine alla Cina

La nuova base militare cinese a Gibuti fa parte del progetto One Belt One Road, ovvero della seconda “Via della Seta” cinese, quella marittima. L’istallazione militare è solo una delle tappe con cui il gigante asiatico si sta imponendo su mezza Africa. La parte del leone la fanno i massicci investimenti, i prestiti da capogiro che stanno fortemente indebitando molti Paesi e la costruzione di infrastrutture, di cui il continente è affamato. Nel Corno d’Africa, in particolare, la Cina ha realizzato l’importantissima nuova ferrovia che collega la capitale etiope Addis Abeba a Gibuti, appunto, offrendo di fatto lo sbocco sul mare cui l’Etiopia agogna da sempre.

Stessa filosofia dietro la costruzione della linea ferroviaria in Kenya, che collega la capitale Nairobi a Mombasa, sul mare: strumento chiave per favorire la penetrazione cinese nel continente, in uno dei paesi a più rapido sviluppo. Se poi aggiungiamo che a febbraio Etiopia e Gibuti hanno siglato un accordo per la realizzazione di un gasdotto, che porterà il gas etiope fino al Mar Rosso con tecnologia cinese, capiamo meglio il quadro complessivo: il protagonismo cinese inquieta non poco la Francia, che in questo viaggio inedito tra le capitali dell’Africa orientale tenta di riconquistare il terreno perduto, mostrandosi come alternativa più affidabile all’indebitamento che molti Stati africani stanno sottoscrivendo con il colosso asiatico. “Un progetto – dicono dall’Eliseo – diverso, più positivo, forse un po’ meno puramente mercantile”. Macron tenta di porsi come partner più affidabile dell’onnivora Cina.

La tappa etiope

Lasciato il suolo gibutiano, Macron si è diretto in Etiopia, iniziando dalla visita a Lalibela, sito patrimonio dell’umanità dal 1978 per le sue antiche chiese rupestri e suggellando così la promessa fatta al primo ministro etiope Abiy Ahmed di offrire le competenze francesi in ambito di tutela del patrimonio culturale, poiché le undici splendide chiese rupestri di Lalibela si stanno rapidamente deteriorando a causa degli agenti atmosferici. A ciò si aggiunge anche l’impegno per il restauro del palazzo presidenziale detto “del Giubileo” e la sua trasformazione in museo. E proprio questo palazzo ha ospitato martedì sera la cena ufficiale di Macron con il premier Ahmed e la presidente etiope Sahle-Work Zewde (l’unica donna attualmente in carica in tutto il continente africano), che ha studiato in Francia, dove è poi stata ambasciatrice dal 2002 al 2006. Particolare non secondario nell’attuale inedito avvicinamento dei due Paesi.

Al centro dei colloqui, oltre alla collaborazione in campo culturale, anche varie partnership economiche, con gli otto patron francesi che accompagnano Macron in questo viaggio. Nessun partner economico era presente alla prima tappa gibutiana, mentre le successive due tappe sono accompagnate da due differenti delegazioni: ad Addis Abeba, presenti Stéphane Richard, AD di Orange, interessato a una partecipazione in Ethio Telecom; Maxime Saada, alla testa del gruppo Canal+; e Thierry Déau, presidente di Meridiam; a Nairobi, attesi invece la patrona di Engie, Isabelle Kocher, e il capo di EDF, Jean-Bernard Levy.

Oltre agli scambi economici, è stato poi sottoscritto un accordo di cooperazione in materia di difesa, che apre la strada al rilancio di una marina etiope, abbandonata nel 1991 con la secessione dell’Eritrea, laddove ora l’Etiopia non ha alcuno sbocco sul mare. Ma non solo: si parla anche di “cooperazione in materia aerea”, di partenariato fra le truppe e di prospettive di formazione e di equipaggiamento. “Abbiamo la consapevolezza di firmare con un dirigente che ha deciso di costruire la pace in tutta la regione e di lottare contro il terrorismo”, ha affermato Macron durante la conferenza stampa congiunta, quasi a volersi giustificare. Tale accordo è un ulteriore corposo tassello nel crescente export di armi francese: l’ultimo rapporto SIPRI (l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma) appena pubblicato colloca la Francia al terzo posto dopo Usa e Russia fra i produttori e gli esportatori di armi e registra un +263% di esportazioni verso il Medio Oriente negli anni 2014-18 rispetto al quadriennio precedente. Tra parentesi, il primo partner commerciale nel settore è l’Egitto, che da solo copre il 28% del giro d’affari della Francia (e dove Macron si è di recente recato in visita ufficiale).

Ultimo incontro della tappa etiope, quello con il presidente della Commissione dell’Unione Africana (che – ricordiamo – ha sede proprio ad Addis Abeba), Moussa Faki Mahamat, e con alcuni dei Commissari dell’UA, fra cui in particolare Smaïl Chergui, commissario alla “Pace e sicurezza”. Fra i temi, anche la futura presidenza del G7 alla Francia, in agosto.

Ultima tappa, Nairobi e One Planet Summit

È una prima assoluta per un capo di stato francese in Kenya, dal giorno dell’indipendenza. Macron vi è giunto mercoledì sera e ieri ha co-presieduto il One Planet Summit insieme all’omologo Uhuru Kenyatta. Con Kenyatta il presidente francese ha tenuto anche un bilaterale, che ha toccato di nuovo i temi della sicurezza: durante il suo viaggio a Parigi nel 2016, il presidente kenyota si era recato in visita agli uffici della Direzione Generale della Sicurezza Estera (DGSE), avviando una collaborazione che resta attiva. Così come resta attivo il ruolo francese nella formazione dei contingenti kenyota, ugandese e burundese dell’Amison, la missione dell’UA in Somalia.

A margine dei lavori del summit, mercoledì sera, una cena fuori programma con Kenyatta e con il neoeletto presidente della Rd Congo, Félix Tshisekedi (elezione che all’inizio Parigi aveva apertamente criticato), durante la quale si è cercato di superare le divergenze e guardare al futuro del gigante centrafricano in crisi perenne. Giovedì anche un incontro con Andry Rajoelina, presidente dell’altro ex possedimento coloniale francese, il Madagascar. E anche in questo caso è la prima volta che i due si incontrano.

Ultima tappa prima di lasciare il suolo africano è stato l’incontro con gli studenti all’università di Nairobi, con possibilità per i giovani di porre domande a Macron: la chicca finale pensata per donare nuovo smalto all’immagine francese in Africa, sempre più appannata.

L’attivismo africano di Macron con questo viaggio travalica i confini tradizionali della FrancAfrique e mira ad estendere l’influenza d’Oltralpe in territori del tutto nuovi nel continente, unendo il rilancio dell’immagine a obiettivi economici e culturali e a mire geopolitiche e strategiche.