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Egitto, il fotoreporter Shawkan torna in libertà dopo duemila giorni di carcere

Accusato di adesione a un’organizzazione criminale, omicidio, "partecipazione a un raduno a scopo di intimidazione, per creare terrore e mettere a rischio vite umane" e resistenza a pubblico ufficiale, lo scorso settembre era stato condannato a cinque anni

Dopo oltre cinque anni di carcere, è tornato in libertà il fotoreporter egiziano Mahmoud Abou Zeid, detto Shawkan. Era stato arrestato il 14 agosto 2013 mentre documentava per l’agenzia londinese Demotix scontri tra forze di sicurezza egiziane e sostenitori del deposto presidente Mohammed Morsi, all’epoca dello sgombero del sit-in dei Fratelli Musulmani a Rabaa al-Adawiya, al Cairo.

Accusato di adesione a un’organizzazione criminale, omicidio, “partecipazione a un raduno a scopo di intimidazione, per creare terrore e mettere a rischio vite umane” e resistenza a pubblico ufficiale, lo scorso settembre era stato condannato a cinque anni di carcere. Come ricorda il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), Shawkan ha trascorso più di duemila giorni in cella. È stato il fotoreporter egiziano Mohamed El Raai a pubblicare su Twitter le immagini che ritraggono il 31enne sorridente “al suo arrivo nella sua casa a Giza“.

 

“Ero uscito di casa per scattare delle foto, sono rientrato 5 anni dopo”, ha commentato rientrando a casa, accolto da familiari ed amici. Shawkan, però, dovrà sottoporsi a un rigido controllo giudiziario per altri cinque anni, con l’obbligo di dormire ogni sera nel commissariato del suo quartiere. Parlando nella sua casa di Giza, ha detto che i primi momenti di libertà gli sono sembrati “come se stessi volando”.

Nel 2016 Shawkan ha ricevuto l’International Press Freedom Award del Cpj. Due anni dopo l’Unesco gli ha conferito un premio per la libertà di stampa. Quando è stato arrestato, il giornalista stava documentando uno dei più cruenti massacri della recente storia egiziana, con centinaia di morti in un solo giorno. Shawkan ha denunciato più volte di essere stato torturato nelle prigioni di Abu Zaabal e Tora, dove ha anche contratto l’epatite C. Per almeno 17 volte la procura generale ha negato il suo rilascio provvisorio per motivi di salute.