Società

Carcere Bollate, per la prima volta al mondo il bilancio partecipativo è fatto dai detenuti: “Così contano davvero”

Al via nella casa di reclusione in provincia di Milano il progetto che permetterà a chi vive al suo interno di decidere se ammodernare - ad esempio - mensa e cucina, o fare corsi di formazione. Dall'esterno arrivano soltanto i fondi per realizzare le scelte attraverso una campagna di crowdfunding civico

“In carcere chi collabora con le istituzioni viene spesso considerato un infame. Noi volevamo ribaltare questo concetto, trasformando il detenuto nel vero protagonista della comunità”. Si chiama Idee in fuga ed è il primo progetto di bilancio partecipativo al mondo che permetterà a chi è nella casa di reclusione di Milano-Bollate di proporre, selezionare e votare cosa realizzare all’interno del penitenziario. Quello che arriverà dall’esterno saranno i fondi per finalizzare le scelte attraverso una campagna di crowdfunding civico. “A settembre tireremo le fila e capiremo quanto abbiamo raccolto e quanti progetti potremo finanziare. Si partirà così con i primi interventi, dalla manutenzione ordinaria a una palestra nuova fino all’ammodernamento di mense e cucine. Ma anche corsi di formazione e fornitura di servizi”.

Giorgio Pittella è ideatore del progetto, Stefano Stortone il coordinatore. Si sono conosciuti a un master. “Mi occupo di bilanci partecipativi da tempo – racconta Stefano –. Insieme abbiamo deciso di avviare la nostra startup (BiPart) che nel 2019 è diventata impresa sociale”. La prima forma di democrazia rappresentativa nel carcere di Bollate risale ai primi anni 2000, quando sono nate le prime commissioni a rappresentanza dei detenuti. Idee in fuga è nato nel settembre del 2016: “Col bilancio partecipativo i detenuti decidono in prima persona e diventano protagonisti delle scelte, sperimentando una forma alternativa di partecipazione rispetto alle commissioni”.

Si partirà così con i primi interventi, dalla manutenzione ordinaria a una palestra nuova fino all’ammodernamento di mense e cucine

Ma come cambierà con questo progetto la vita dei detenuti? “Dal 5 marzo cominceranno gli incontri informativi: andremo in tutti i reparti a spiegare come funziona – racconta Stefano –. Dalla settimana dopo cominceranno le assemblee, dove si potranno discutere le idee poi da valutare in termini di fattibilità e progettazione prima di arrivare al voto”. Per la scelta finale si è tornati un po’ alle origini: “È tutto cartaceo, perché ovviamente in carcere non c’è accesso a internet. Le proposte possono essere presentate da chiunque compilando una scheda. Noi le raccogliamo tutte in una guida da rendere disponibile per la consultazione”.

Ci sono due fasi di voto: la prima su tutte le proposte raccolte in un libricino che sarà disponibile nelle prossime settimane, la seconda a maggio sui progetti finalisti emersi dalla prima votazione. A giugno invece continuerà la raccolta fondi, ma sulle opere o gli interventi emersi dal voto. Il processo ha come obiettivo proprio quello di far emergere, capire e discutere le proposte dei detenuti. Coinvolgendo tutti. “La comunità carceraria è composta da circa 1.200 detenuti, con una piccola quota di donne. Potenzialmente tutti possono partecipare al progetto”, spiega Stefano. Anzi, nel reparto femminile grazie al passaparola è già emersa una proposta ufficiosa: “Per ora, per correttezza, la conservo in un fogliettino sotto chiave”, sorride Giorgio. Reazioni? “I progetti che vengono proposti dall’esterno sono tanti – spiega Giorgio – e al momento è la commissione cultura a decidere quali voler fare o meno”. La prima volta che Stefano e Giorgio sono entrati in penitenziario a parlare di Idee in fuga si sono ritrovati proprio di fronte alla commissione cultura. “Era il gennaio del 2017. Abbiamo riassunto tutto in 5 minuti. Ma l’entusiasmo è stato subito alle stelle. Specie da parte dei detenuti”.

Anche in Portogallo ci sono esperienze simili. Ma sono processi che nascono all’esterno del carcere e non dalle scelte dei detenuti

Quello del bilancio partecipativo è un modello che Giorgio e Stefano hanno “sperimentato prima nelle scuole, poi nei comuni piccoli e grandi. Oggi lo facciamo nelle carceri e siamo convinti che possa essere applicato in ogni contesto comunitario – dicono -. Ci sono colleghi di New York o dal Messico che ci hanno chiamato e si sono interessati”. Per la prima volta, così, un crowdfunding civico​ entra in un carcere. Lo conferma anche Giovanni Allegretti, ricercatore presso il Centro di Studi Sociali dell’Università di Coimbra e uno dei maggiori esperti in tema di bilanci partecipativi, che a ilfattoquotidiano.it spiega: “Anche in Portogallo ci sono esperienze simili. Ma sono processi che nascono all’esterno del carcere e non dalle scelte dei detenuti. Tante persone – aggiunge – che lavorano nelle carceri proiettano i loro desideri su chi è recluso”. Quello che bisogna fare, continua Allegretti, “è invertire la tendenza: iniziare a lavorare con le comunità vulnerabili per coinvolgerle in un processo in cui loro siano i protagonisti. Mentre tutti gli altri progetti di finanza sono consultivi, questo è co-decisionale: per la prima volta quello che dicono i carcerati per l’amministrazione diventa oro”.