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Stato dell’Unione, Trump chiama alla cooperazione ma attacca i democratici e insiste: “Il Muro con il Messico si farà”

“Dobbiamo rigettare una politica di vendetta, resistenza e rappresaglia e abbracciare il potenziale senza limiti del compromesso e del bene comune”, ha detto il presidente. Ma ha attaccato il superprocuratore del Russiagate Robert Muller e poco prima aveva definito l'ex vicepresidente Joe Biden “un idiota” e il senatore Charles Schumer “un figlio di puttana”

Ha chiesto “unità e cooperazione”. In realtà, il Discorso sullo Stato dell’Unione 2019 di Donald Trump verrà ricordato come simbolo di una presidenza che ogni giorno di più precipita nel caos e nelle divisioni. Trump ha attaccato i democratici e lo special counsel Robert Mueller. Ha rilanciato la necessità del Muro al confine meridionale. Ha detto che farà di tutto perché gli Stati Uniti non precipitino nel socialismo. Durante un discorso di un’ora e ventidue minuti, ha sollevato frequenti applausi tra i repubblicani e lasciato i democratici perplessi. Nancy Pelosi, la speaker della Camera e strenua oppositrice di Trump nello scontro sullo shutdown, è rimasta seduta dietro il presidente, con un’espressione quasi sempre fredda e distante.

“Dobbiamo rigettare una politica di vendetta, resistenza e rappresaglia e abbracciare il potenziale senza limiti della cooperazione, del compromesso e del bene comune”, ha detto Trump, che ha cercato di presentarsi come leader capace di costruire intese e compromessi. “Insieme, possiamo mettere fine a decenni di stallo politico. Possiamo colmare antiche divisioni, sanare vecchie ferite, creare nuove coalizioni, forgiare nuove soluzioni e sbloccare la promessa straordinario del futuro dell’America”. La cosa interessante è che, nelle ore immediatamente precedenti il discorso, a una colazione offerta ai giornalisti televisivi, Trump si era scagliato contro diversi democratici di primo piano, definendo il vicepresidente Joe Biden “un idiota” e il senatore Charles Schumer “un cattivo figlio di puttana”. Immediata, ancor prima del discorso sull’Unione, era arrivata la replica di Schumer: “L’ipocrisia evidente di un presidente che chiede unità è che è lui stesso la ragione principale perché gli americani si sentono ora così divisi”.

In questa situazione di continuo scontro e polemica, è evidente che il cuore del discorso di Trump, oltre la retorica dei richiami alla cooperazione, dovesse essere il riconoscimento delle divisioni. Trump ha detto che “un miracolo economico sta prendendo piede negli Stati Uniti e la sola cosa che può bloccarlo sono guerre stupide, la politica o indagini ridicole e di parte”. Evidente il riferimento all’inchiesta che lo special counsel Robert Mueller sta portando avanti sui legami tra campagna elettorale di Trump e la Russia, come evidente anche l’avvertimento alla Camera a maggioranza democratica perché non alzi i toni dello scontro. In questo senso – nel senso di un attacco ai democratici alla vigilia delle elezioni 2020 – va visto il riferimento di Trump al socialismo.

Prendendo spunto dalle recenti vicende venezuelane – con il sostegno ancora una volta offerto al leader dell’opposizione Juan Guaidó e gli attacchi al presidente Maduro e alle sue “politiche socialiste” – Trump ha spiegato che “qui, negli Stati Uniti, siamo allarmati da nuove richieste di adottare il socialismo”. Di fronte ai repubblicani che si sono alzati in piedi cantando “U-S-A-U-S-A”, Trump ha scandito: “Stasera, rinnoviamo la nostra promessa che gli Stati Uniti non saranno mai un paese socialista”. E’ stata questa, da parte di Trump, un’ovvia allusione allo spostamento a sinistra del partito democratico su molte questioni: sanità, educazione, lavoro. Tra le file dei democratici, in aula, c’erano i responsabili del presunto spostamento a sinistra del partito, i candidati futuri alle presidenziali 2020 – Elizabeth Warren, Kamala Harris, Kirsten Gillibrand, Cory Booker – che hanno ascoltato senza mai applaudire.

Anche sull’immigrazione Trump ha mostrato l’intenzione di andare avanti per una strada che sinora ha portato divisioni – e la chiusura per oltre un mese di molte agenzie del governo federale. Per rilanciare la necessità del Muro al confine meridionale, Trump ha spiegato che “mentre parliamo, vaste e organizzate carovane sono in marcia verso gli Stati Uniti”. Riprendendo un termine usato dalla speaker Pelosi – secondo cui costruire un Muro sarebbe “immorale” – Trump ha detto che “questa è una questione di moralità. Non c’è tema che come l’immigrazione illegale illustri la divisione tra i lavoratori americani e la classe politica. Ricchi politici e i loro finanziatori spingono per aprire i confini e intanto vivono le loro vite dietro muri e recinti e guardie”. Tratteggiando una realtà cupa, di pericoli e violenze, con gang come la MS-13 che cercano di entrare negli Stati Uniti per commettere crimini, il presidente ha quindi rinnovato la sua richiesta dei finanziamenti per il Muro. Senza dire esplicitamente di essere pronto a dichiarare lo stato di emergenza al confine, ha spiegato che una legge di bilancio senza i fondi per il Muro non otterrà, probabilmente, la sua firma.

In un discorso così farcito di elementi di scontro e di contrasto, a poco sono serviti i rari appelli alle cose da fare insieme. Trump ha promesso un piano di investimenti nelle infrastrutture – l’aveva già fatto l’anno scorso, senza che la promessa si sia poi trasformata in realtà. L’unico momento davvero capace di riunire destra e sinistra è stato quando il presidente ha reso omaggio alle 131 donne elette alle ultime legislative. “Esattamente un secolo dopo il passaggio al Congresso dell’emendamento costituzionale che ha dato alle donne il diritto di voto, noi abbiamo un numero record di donne che servono in quest’aula”, ha detto. Lì, e solo lì, deputati e senatori dei due partiti si sono alzati e uniti nell’applauso, scandendo “U-S-A-U-S-A”. Molte donne, soprattutto democratiche, erano vestite di bianco: un riferimento al colore simbolo delle suffragette.

Per il resto, in un discorso segnato soprattutto dai temi interni, ci sono stati pochi riferimenti alla politica estera. Oltre a reiterare l’appoggio all’opposizione venezuelana, Trump ha difeso la sua decisione di ritirare le truppe dalla Siria e di accelerare la fine della guerra in Afghanistan attraverso negoziati con i talebani. “Le nostre truppe coraggiose hanno combattuto in Medio Oriente per almeno 19 anni”, ha spiegato, ricordando anche che gli Stati Uniti hanno speso nell’area oltre sette trilioni di dollari. “Come candidato presidente, ho promesso un nuovo approccio. Le grandi nazioni non combattono guerre infinite”. La conferma del ritiro da Siria e il disimpegno dall’Afghanistan sono stati dunque un’indiretta risposta ai leader delle tre agenzie dell’intelligence americana, FBI, CIA e National Intelligence, che nei giorni scorsi avevano ripetuto che nell’area restano ancora gravi ragioni di preoccupazione e minacce agli interessi americani. Trump, nel suo discorso, ha confermato che vedrà il presidente nord-coreano Kim Jong-un in Vietnam i prossimi 27 e 28 febbraio.

E’ stata Stacey Abrams, l’ex candidata dei democratici per la carica di governatore in Georgia, una degli astri nascenti della politica democratica, a pronunciare in diretta TV il discorso di risposta a Trump. Abrams ha respinto il richiamo all’unità da parte di un presidente che sinora ha praticato la politica della divisione: “Sappiamo che la cooperazione potrebbe modellare un piano per l’immigrazione nel 21esimo secolo – ha detto – Ma questa amministrazione ha scelto di chiudere i bambini nelle gabbie e dividere le famiglie”. Abrams, una politica afro-americana, ha sottolineato le frequenti provocazioni razziali in cui Trump sarebbe caduto: “Dobbiamo ritenere responsabili di parole e atti razzisti tutti – dalle cariche più alte dello Stato ai nostri familiari – e definire il razzismo per quello che è: una cosa sbagliata”. E’ stata, quella di Stacey Abrams, una risposta dura, senza possibilità di compromesso, a un discorso sullo Stato dell’Unione altrettanto duro, che promette nuovi scontri in quella in che è probabilmente la presidenza più controversa e disgregante della storia americana.