Politica

Il reddito di cittadinanza non è fatto per prendere voti. Anzi, i 5 stelle ne perderanno

Durante l’ultima puntata di Porta a Porta il giornalista del Corriere della Sera Massimo Franco, rivolgendosi a Di Battista, ha accusato il M5s di aver messo in atto una manovra elettorale con il reddito di cittadinanza dato che lo si vuole “fare a tutti i costi alla vigilia delle Elezioni europee, come fece Renzi con gli 80 euro”. In realtà sul piano psicologico ci sono enormi differenze tra gli 80 euro di Renzi – che funzionarono alla grande in termini di voti – e il reddito di cittadinanza. Quest’ultimo infatti, al contrario di portare consensi, provocherà rancore in molti italiani che ne beneficeranno.

La psicologa Maria Rita Parsi, che ha partecipato anche agli eventi organizzati da CasaleggioIvrea, ha scritto un libro nel 2011 dal titolo Ingrati che parla della sindrome rancorosa del beneficato. Citerò la Parsi e riassumerò alcuni concetti utili, secondo me, a capirne il nesso con il reddito di cittadinanza. Vi invito comunque a leggere il suo libro perché è estremamente interessante ed è scritto in modo piacevole, senza troppi tecnicismi. 

Che cos’è la “sindrome rancorosa del beneficato”?

La Parsi spiega che si tratta di “rancore (il più delle volte covato inconsapevolmente) che coglie come una autentica malattia chi ha ricevuto un beneficio che non riesce ad accettare, visto che tale condizione lo pone in ‘debito di riconoscenza‘ nei confronti del suo benefattore. Ciò trasformerà questo beneficio in un peso dal quale liberarsi, trasformando il proprio benefattore in una persona da allontanare, da dimenticare se non, addirittura, da penalizzare e calunniare”. Secondo la mia opinione è questa la reazione che provocherà il reddito di cittadinanza in molti beneficiari. Il benefattore identificato nel M5s o in Luigi Di Maio sarà vittima del rancore di molti di coloro che riceveranno il Reddito.

La psicologa spiega: “Quando aiuti qualcuno nel bisogno lo metti in una condizione di dipendenza. Una sensazione sgradevole che produce un rifiuto per il benefattore, facendo prevalere il bisogno di dire: ‘io non devo niente a nessuno’”. Scatenare una reazione del genere da parte del M5s significa due cose: la prima, positiva, è che c’è da parte del Movimento la reale volontà di aiutare chi è povero, indipendentemente dal ritorno che questo gesto può portare. La seconda, negativa, è che alla lunga questo atto di umanità potrà minare i consensi.

Gli 80 euro di Renzi, a differenza del reddito di cittadinanza, non erano dati a persone che si trovavano in condizioni di bisogno. Renzi ha dato quei soldi alla classe media, a chi aveva già uno stipendio mensile intorno ai 1.500 euro. In questo modo non scattò il senso di dipendenza che provoca invidia, senso di inferiorità e disagio. Un disagio che porta al desiderio di voler cancellare, come detto, allontanare dalla propria vista il proprio benefattore, che ricorda ogni giorno, apparendo in tv, sui social e sui giornali, la fragilità del beneficato.

Qualcuno potrebbe obiettare: il reddito di cittadinanza non è un dono, si richiede un impegno costante da parte di chi lo richiede. Questo non allevia il rancore, lo accentua. La Parsi apre il suo libro con frasi celebri su questo meccanismo psicologico. Ne riporto una che si addice particolarmente al nostro caso: “Mettere in obbligo un ingrato è comprare odio” (Alexandre Dumas).

Gli obblighi saranno apprezzati da chi ha una cultura del lavoro e non vive in povertà, perché magari ha perso da poco il suo stipendio. Questi obblighi invece saranno sofferti da chi vive da tempo in condizioni di bisogno. Quest’ultima categoria, dopo anni di porte in faccia o di inattività, vedrà comunque nel reddito di cittadinanza una sorta di beneficenza: un’opportunità concessa non per merito, ma solo a causa della propria condizione di difficoltà economica.

Per questo sono convinto che la richiesta per il reddito di cittadinanza arriverà da meno persone di quelle che si credono comunemente. Avremo molti che coglieranno ogni minimo pretesto per uscire dal programma o attaccare il Governo: magari vorranno lavori diversi da quelli offerti, oppure si rifiuteranno di percorrere qualche chilometro per andare al lavoro.

Dunque era meglio non fare il reddito di cittadinanza? Un altro libro che vi consiglio al riguardo è di George Orwell, il suo primo lavoro, dal titolo Senza un soldo a Parigi e Londra. Orwell che conosceva la povertà spiega che avere un reddito ci rende persone migliori, perché ci fa pensare anche al futuro, smettendo di farci vivere alla giornata.

Nella situazione in cui si trova oggi il nostro Paese, fare un reddito di cittadinanza era doveroso. Le persone che ne beneficeranno, pur provando rancore, avranno di fatto una vita migliore. Questo è ciò che deve contare per un Governo che vuole mettere al primo posto il bene della popolazione anziché il consenso elettorale. Il fatto che il reddito di cittadinanza non sia una manovra elettorale dunque fa onore al M5s e questa è una misura che va difesa indipendentemente dalla reazione di chi lo riceverà.