Mondo

Libia, il racconto del migrante: “Non volevamo partire, ma se ci rifiutavamo ci avrebbero ucciso”

A parlare all'inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi è il 31enne nigeriano Hamido Mussa, dal centro di raccolta per migranti di Shouk al Khamis, a Khoms, tra Tripoli e Misurata. "Avrei preferito aspettare che il mare si calmasse e una temperatura meno rigida, ma non hanno concesso alcuna possibilità. Mi avrebbero sparato"

“C’erano onde alte oltre un metro sin sulla spiaggia e al largo il vento teso increspava i cavalloni. La temperatura era gelida. Assurdo imbarcarci, sembrava un suicidio. Alle due della mattina del 20 gennaio però quei criminali ci hanno costretti. Minacciavano di uccidere chiunque si fosse opposto“. A parlare all’inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi è il 31enne nigeriano Hamido Mussa, dal centro di raccolta per migranti di Shouk al Khamis, a Khoms, tra Tripoli e Misurata. “Avrei preferito aspettare che il mare si calmasse e una temperatura meno rigida, ma non hanno concesso alcuna possibilità. Mi avrebbero sparato” ha detto. Il suo è un racconto drammatico: “Alla partenza eravamo 142, di cui una ventina di donne e 8 o 9 bambini, divisi in due grandi gommoni. In maggioranza in arrivo da Siria, Ghana, Eritrea e Yemen. Tanti sono morti poche ore dopo, a ucciderli è stata l’acqua ma soprattutto il gelo. Non so quanti siano sopravvissuti. Adesso siamo sparsi in vari campi” ha spiegato Mussa, la cui famiglia ha accettato di pagare i suoi carcerieri affinché ora sia detenuto nel campo conosciuto dall’Onu e dalle organizzazioni umanitarie.

Secondo la ricostruzione del Corriere, i carcerieri fanno parte delle milizie della Tripolitania, a cui Sarraj ha tagliato gli stipendi come ritorsione per la loro contrarietà al dialogo tra il governo di Tripoli e Haftar, che comanda la Cirenaica. Un rapporto, quello tra Sarraj e Haftar, dovuto alle pressioni europee, che puntano a costruire un nuovo governo comprensivo per rilanciare pace interna e, di conseguenza, nuove elezioni. Co i salari dimezzati, le milizie (specie quelle di Misurata) si finanziano con il traffico dei migranti, che vengono incarcerati e picchiati al fine di ottenere riscatti dalle loro famiglie. “A quelli del Bangladesh vengono chiesti sino a 1.200 dollari a testa per la liberazione – scrive il Corriere – Per un somalo o un sudanese il prezzo scende a 500″. Il quotidiano milanese, poi, ha raccolto la testimonianza di un ufficiale della guardia costiera di Khoms, che sotto la garanzia dell’anoniminato ha spiegato che “le milizie ribelli bloccano le barche della guardia costiera di città come Misurata e Garabulli. Intendono creare problemi tra Sarraj e i suoi partner europei, in particolare con l’Italia. E più migranti muoiono in mare più Sarraj appare debole, inaffidabile”.