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Costa d’Avorio, ex presidente Gbagbo assolto per i 3mila morti del 2010. E l’Africa si fida sempre meno dell’Aja

L'ex capo di Stato era a giudizio davanti alla Corte penale internazionale per crimini contro l'umanità. Ora si gode la sua autobiografia: "Quella volta che Berlusconi mi disse di non fidarmi di Chirac". Il procuratore fa ricorso: "Le indagini continuano". Intanto il ruolo della Cpi è sempre più mal visto nel continente: la convinzione è che L'Aja lavori solo contro gli africani

Rilasciato per insufficienza di prove. Così è accaduto il 16 gennaio all’ex presidente della Costa d’Avorio, Laurent Gbagbo, e all’allora ministro della gioventù Charles Blé Goudé. I due erano in detenzione all’Aja da otto anni, dopo esser stati processati dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità: omicidi, stupri, altri atti disumani o, in seconda istanza, tentati omicidi e persecuzione. Il processo al presidente e fondatore del Fronte Popolare Ivoiriano – detenuto dal novembre 2011 – iniziò nel gennaio 2016: dopo 231 giorni di udienza, 82 testimoni auditi e migliaia di documenti prodotti, ecco il verdetto. Gbagbo e Blé Goudé sono stati “assolti da tutte le accuse di crimini contro l’umanità”. Dopo l’assoluzione però è stata sospesa la liberazione di Gbagbo e Blé in attesa dell’appello perché il pm teme la fuga.

Il riferimento è alle violenze post elettorali avvenute in Costa d’Avorio nel 2010 e 2011, che provocarono oltre 3mila morti. Le motivazioni della sentenza saranno depositate più avanti. Si sa però che la decisione non è stata presa all’unanimità, ma da due giudici su tre: contraria, la giudice Herrera Carbuccia. I giudici Cuno Tarfusser (presidente) e Geoffrey Henderson hanno invece votato a favore, prendendo “atto del conflitto politico violento che aveva avuto luogo nel contesto delle elezioni presidenziali del 2010, a Abidjan e in altre parti del paese – si legge nel comunicato ufficiale della Corte –. Ciononostante, la maggioranza ha ritenuto che il procuratore non abbia fornito prove sufficienti a dimostrare la responsabilità di Gbagbo e di Blé Goudé per gli incidenti oggetto dell’esame della Corte”. In particolare “l’esistenza di un ‘piano comune‘ mirante a mantenere Gbagbo al potere, che avrebbe compreso crimini contro civili ‘in applicazione o nella realizzazione della politica di uno stato o di un’organizzazione'”.

In sintesi, i crimini ci sono stati, ma non è dimostrato che siano stati scientemente preordinati dal potere in carica. Il procuratore generale della Corte penale Fatou Bensouda ha annunciato che farà ricorso: “Ci tengo a sottolineare – ha spiegato in un comunicato – che le nostre indagini proseguono in Costa d’Avorio. Restiamo determinati ad assolvere il nostro mandato in virtù dello Statuto di Roma. Facendo ciò, il mio ufficio è risolutamente determinato ad adempiere il suo ruolo, tenendo presente anzitutto e sempre la sorte delle vittime in questo paese”.

Già. Le vittime. Chi pagherà per i morti di quei mesi? La decisione del rilascio di Gbagbo e Blé Goudé è stata accolta con esultanza, in patria, dai sostenitori dell’ex presidente. E già ci si domanda se Gbagbo si vorrà ricandidare nel 2020.

Viva costernazione è stata invece espressa dalle associazioni per i diritti umani. Florent Geel, responsabile per l’Africa della Federazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo, sentito dalla rivista Jeune Afrique, afferma che si tratta di una decisione prevedibile, “ma è una decisione deludente, in particolare riguardo alle vittime e alla giustizia. Con questa decisione di proscioglimento della Corte penale internazionale e l’ordine di amnistia preso dal presidente in carica Ouattara il 6 agosto 2018 (…) più nessun responsabile politico o militare della crisi post elettorale dovrà rendere conto dei crimini che sono stati commessi. Ovvero, si consacra l’impunità totale”.

Gli fa eco Jean-Paul Benoit, avvocato dello Stato della Costa d’Avorio e di Ouattara, presidente in carica ed avversario di Gbagbo proprio in quelle contestate elezioni: “Non capisco come, dopo otto anni di detenzione, di conferma delle accuse, di udienze… ci si renda improvvisamente conto che non c’è assolutamente nulla nel dossier. Quando ho ascoltato i giudici, ho avuto l’impressione che Laurent Gbagbo non fosse in Costa d’Avorio durante la crisi e che tutto ciò che è successo gli fosse totalmente estraneo. Come se non fosse stato lui il capo dell’esercito, il capo della polizia, il capo dello Stato! La Corte dimentica che ci sono stati più di 3mila morti e che se ci sono stati dei morti, ci sono stati dei responsabili”.

Intanto, però, in tutto il continente le discussioni ancora una volta slittano dal merito dei fatti a un giudizio pro o contro il ruolo della Corte penale, sempre più mal visto in Africa, dove la si ritiene parziale e neocolonialista. La convinzione è che la Corte dell’Aja lavori solo contro gli africani. Ma se ciò era vero all’inizio, oggi alla Corte internazionale sono aperte 11 inchieste, 10 su Paesi africani, l’undicesima sulla Georgia. Ma sono altresì sotto esame preliminare 10 altri Paesi, dei quali solo due africani. Gli altri sono Afghanistan, IraqRegno Unito, Colombia, Venezuela, Ucraina, Filippine, Myanmar, Bangladesh e Palestina. Ciononostante, l’opinione pubblica africana resta fortemente ostile al ruolo della Cpi e tre Paesi hanno minacciato di ritirarsi. Solo uno di loro lo ha già fatto, il Burundi, guarda caso sotto inchiesta.

Mentre Gabgbo attendeva in carcere l’esito del procedimento giudiziario, insieme a un giornalista francese ha steso la sua autobiografia, uscita col titolo Libre. Pour la verité et la justice il 13 dicembre. Il punto di vista è ovviamente del tutto parziale. Ma interessante. Dietro tutti gli sconvolgimenti politici che hanno colpito la Costa d’Avorio durante la sua presidenza, Gbagbo vede la mano francese. Non risparmia nessuno dei presidenti, né Sarkozy, né Hollande, né Chirac. Di quest’ultimo racconta che gli chiese di finanziare la campagna elettorale francese nel 2002.

Fra i tanti episodi, ce n’è uno curioso che riguarda l’Italia. Il 19 settembre 2002 ci fu un tentativo di golpe, che fallì, ma diede il via all’instabilità. Secondo Gbagbo, dietro questo e gli altri tentativi di destabilizzazione, c’era la Francia. E racconta: “Il 18 e 19 settembre 2002 ero in viaggio ufficiale a Roma. Ho incontrato il presidente della Repubblica, poi ho incontrato Silvio Berlusconi, che all’epoca era presidente del Consiglio. […] Mi ha accompagnato alla macchina tenendomi il braccio e quando siamo stati soli, quando è stato certo che nessuno lo sentisse, mi ha detto: “Tu mi piaci. Se posso darti un consiglio: non fidarti di Chirac. È molto simpatico, ma ti pugnala alle spalle”. Alle 3 o 4 di mattina, sono stato informato con una telefonata dell’attacco militare in tutto il paese.”

Solo le balzane idee di un vecchio capo di Stato? Forse no. Ieri, alla notizia della sua assoluzione, il socialista francese Guy Labertit, amico di Gbagbo, ha commentato a caldo: “È un grande sollievo sul piano umano. In quanto cittadino francese, ripenso al ruolo che ha giocato lo Stato francese, in particolare sotto Nicolas Sarkozy. Penso che la gente aprirà gli occhi su ciò che è accaduto, sul fatto che la Francia e la comunità internazionale non hanno mai accettato l’elezione di Laurent Gbagbo“.