Giustizia & Impunità

Mino Pecorelli, la sorella chiede di riaprire le indagini sul giornalista assassinato: “Voglio sapere chi è stato”

L'avvocato Biscotti depositerà giovedì 16 gennaio un'istanza formale alla procura della capitale . Nella richiesta si chiedei ai magistrati guidati da Giuseppe Pignatone di a riaprire le indagini sulla base di un vecchio verbale di Vincenzo Vinciguerra, un ex estremista di destra. Per l'omicidio furono processati e assolti Andreotti, Vitalone, Badalamenti, Calò, La Barbera

Riaprire le indagini sull’omicidio di Mino Pecorelli, il giornalista assassinato a Roma la sera del 20 marzo del 1979. È quello che chiede Rosita Pecorelli, la sorella del direttore di Op, Osservatore politico. “Cerco la verità e non mi arrenderò finché non l’avrò scoperta. Voglio solo sapere chi ha ucciso mio fratello”. La donna è rappresentata dall’avvocato Valter Viscotti: “A mio giudizio – dice il legale – ci sono elementi tali da consentire ulteriori accertamenti. È un atto dovuto a Pecorelli, per continuare a cercare la verità”.

La richiesta della sorella – L’avvocato Biscotti depositerà giovedì 16 gennaio un’istanza formale alla procura della capitale . Nella richiesta si chiedei ai magistrati guidati da Giuseppe Pignatone di a riaprire le indagini sulla base di un vecchio verbale di Vincenzo Vinciguerra, un ex estremista di destra. Nella dichiarazione, resa nel 1992 davanti al giudice Guido Salvini, Vinciguerra sostiene di sapere chi avrebbe avuto in custodia la pistola usata per uccidere Pecorelli. Quel verbale è stato poi trasmesso alla procura di Roma ma le indagini non hanno portato a sviluppi investigativi su questo aspetto. L’avvocato Biscotti ritiene però ora di avere acquisito nuovi elementi legati alla deposizione di Vinciguerra che porterebbero a individuare la possibile arma del delitto Pecorelli. Sui contenuti dell’istanza, il legale mantiene l’assoluto riserbo, in attesa di sottoporla ai pm.

L’omicidio a colpi di pistola – L’omicidio Pecorelli è uno dei misteri italiani irrisolti. Il giornalista venne ucciso con quattro colpi di pistola, tre alla schiena e uno in bocca, appena dopo essere salito sulla sua auto parcheggiata in via Orazio, nel quartiere Prati. Subito dopo avere lasciato la redazione di Op per tornare a casa. Lo ammazzarono sparandogli con una pistola calibro 7.65 munita di silenziatore.

Le indagini archiviate – La prima inchiesta venne archiviata nel 1991 dal pm di Roma, Domenico Sica. Le indagini portano al coinvolgimento di personaggi come Massimo Carminati, Licio Gelli, Antonio Viezzer, Cristiano e Valerio Fioravanti, ma tutti vengono prosciolti per non avere commesso il fatto il 15 novembre 1991. Un anno e mezzo dopo, il 6 aprile del 1993, il pentito di Cosa nostra Tommaso Buscetta accusa Giulio Andreotti di contiguita alla mafia davanti ai pm della procura di Palermo. Il senatore a vita viene iscritto nel registro degli indagati il 14 aprile.

Il processo di Perugia – In base alle dichiarazioni di Buscetta il pm capitolino Giovanni Salvi indaga anche Gaetano Badalamenti e Giuseppe Calò. Nell’agosto del 1993 i pentiti della Banda della Magliana coinvolgono il magistrato romano Claudio Vitalone. Il 17 dicembre 1993 il fascicolo viene inviato alla procura di Perugia, competente ad indagare sui magistrati romani. Nel 1995 parlano altri due pentiti della Magliana, Fabiola Moretti e Antonio Mancini: finisce indagato il boss Michelangelo La Barbera e i pm umbri chiedono la riapertura dell’inchiesta su Carminati. Il Cecato otterrà il proscioglimento col rito immediato poco dopo. A novembre, invece, vengono rinviati a giudizio gli altri imputati. Quattro anni, 128 udienze e 231 testimoni dopo, la procura chiede la condanna all’ergastolo di Andreotti, Vitalone, Badalamenti, Calò, La Barbera. Dopo 102 ore di camera di consiglio, però, la corte d’Assise assolve tutti per “non aver commesso il fatto”.

Le condanne di Appello e un morto senza assassini –  In Appello cambia qualcosa. Nel 2002 la procura generale chiede di condannare gli imputati a 24 anni di reclusione. Il 17 novembre i giudici riformano parzialmente la sentenza di primo grado: Andreotti e Badalamenti sono condannati a 24 anni di reclusione come mandanti del delitto. Confermate le assoluzioni per gli altri imputati. Sentenza annullata il 30 ottobre del 2003 dalle Sezioni unite della Cassazione che assolvono definitivamente Andreotti e Badalamenti e confermano il proscioglimento di tutti gli altri imputati. Pecorelli rimane un morto senza assassini. Adesso, alla vigilia dell’anniversario numero 40 dell’omicidio, ecco la richiesta di riaprire le indagini.