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“La rivolta contro il Prosecco” si fa in Friuli. Il primo locale #deprosecchizzato: “Serviamo spumanti di qualità”. Scoppia la polemica

L’atto di ribellione è stato scovato dal Corriere della sera all’Osteria di Ramandolo a Nimis in provincia di Udine. Decine e decine i commenti perlopiù di friulani che, a dire il vero, non sembrano apprezzare molto l’iniziativa. Iniziativa che andando spulciare un po’ di locali italiani, soprattutto del Nord Italia, non appare affatto isolata

Locale #Deprosecchizzato. L’hashtag ufficiale della rivolta contro il Prosecco è servito. Proprio poco prima di San Silvestro, quando qualche bottiglia di bollicine trevigiane può finire perfino scambiata tra spumanti italiani e champagne francesi. L’atto di ribellione è stato scovato dal Corriere della sera all’Osteria di Ramandolo a Nimis in provincia di Udine. Là dove i titolari, Ilenia Vidoni e Pietro Greco, hanno deciso di non servire più Prosecco, sia che provenga dal Veneto (il DOCG di Conegliano e Valdobbiadene) sia friulano (Prosecco DOC). “La gente non capisce neppure la differenza tra la parola frizzante e un Prosecco”, hanno affermato i due spiegando che è una decisione presa da circa un anno. “Abbiamo completamente escluso dalla nostra cantina il Prosecco in tutte le sue denominazioni per concentrarci sulla promozione di spumanti di qualità prodotti nella nostra regione (…) Non ce ne vogliano i produttori di Prosecco, ma c’è un enorme differenza qualitativa tra un vino che rifermenta velocemente in autoclave per un paio di mesi ed al quale bisogna lasciare un notevole residuo zuccherino per “mascherarne” l’acidità e uno spumante che rifermenta piano, piano e rimane in bottiglia per almeno un anno e mezzo (a volte anche 5 anni e oltre!) e che non ha bisogno di “trucchetti zuccherini” per esprimere la sua aroma e la sua persistenza!”. Vidoni e Greco hanno poi coronato il loro exploit enologico sulla loro pagina Facebook servendo un bel cartello di divieto con una bottiglia di Prosecco tagliata a metà da una barra rossa come fosse in divieto di sosta sui tavoli dell’osteria.

Decine e decine i commenti perlopiù di friulani che, a dire il vero, non sembrano apprezzare molto l’iniziativa. C’è chi è “deluso dalla bigottitudine e dalla denigrazione di vini altrui facendo di tutta l’erba un fascio”; chi parla direttamente di “str…… non per dar spazio ad altri vini ma per l’indiretta demonizzazione di un prodotto che fa da traino ad altri vini italiani”; in tanti, poi, sottolineano con parole pesanti come dal Ramandolo siano “portatori malati dei peggiori difetti friulani”. Dall’Osteria di Nimis le risposte ai commenti non mancano e delineano una questione un po’ più complessa, chiaramente politico-economica alla base della protesta antiProsecco: “non è affatto una guerra al Veneto – spiegano – ma lo sapete quanto si è allargata la ‘piantagione’ di Prosecco DOC nella bassa friulana? I campi dove si faceva mais non è che danno un gran vino”. Dall’altra parte della barricata, tra Conegliano e Valdobbiadene, non se ne fanno di certo una ragione. “Quasi quasi vado a trovarli, e farò pure loro i complimenti se non vendono il Prosecco: ma mi devono servire un Ramandolo divino”, ha dichiarato al Corriere Cesare De Stefani, proprietario dell’Osteria senz’Oste, sui colli del Cartizze.

Anche se l’iniziativa di cartello e hashtag locale #deprosecchizzato ha origine parecchio lontano dall’Osteria di Ramandolo, a Milano, tra i tavoli dell’Osteria della stazione grazie all’oste Gunnar Cautero. Iniziativa che andando spulciare un po’ di locali italiani, soprattutto del Nord Italia, non appare affatto isolata. La “deprosecchizzazione” dei locali passa dal Monferrato alla Romagna, dalla Liguria e arriva perfino tra le osterie di Roma. Insomma, se Fulvio Ervas aveva intitolato un suo spassoso romanzo giallo, Finché c’è prosecco c’è speranza, sotto le insegne di parecchie osterie e trattorie italiane oramai sembra esserci rimasto posto per il verso dantesco “lasciate ogni speranza o voi che entrate”. Ambient deprosechizat. Rigorosamente con metodo classico.