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Migranti, con il taglio dei 35 euro addio all’integrazione: “Centri saranno svuotati del personale, c’è un rischio sicurezza”

Stop ai corsi di italiano e alla formazione professionale. Non solo: via gli psicologi, ridotta al minimo la presenza di assistenti sociali, operatori culturali, medici e infermieri. Sono le conseguenze del capitolato sui costi dei centri di accoglienza elaborato dal Viminale: "Così gli ospiti saranno costretti a non fare nulla in attesa della valutazione della domanda d'asilo e ad andarsene in giro più di quanto non accada oggi", spiega Simone Andreotti, presidente della cooperativa "In Migrazione"

Ogni ospite vedrà il medico per massimo 4 ore l’anno. L’infermiere, invece, non lo vedrà proprio più perché i centri medi e piccoli non saranno più tenuti ad averne uno. Con tutti i rischi sanitari del caso. Addio anche agli psicologi, mentre la presenza di assistenti sociali e mediatori culturali verrà ridotta almeno di due terzi. Risultato: stop all’integrazione e timori per la sicurezza. Sono alcune delle conseguenze del taglio del costo dell’accoglienza dei migranti deciso dal Viminale.

La misura che il vicepremier Matteo Salvini ha elevato a bandiera del Carroccio e della sua gestione del ministero dell’Interno è arrivata: da una media di 35 euro a persona, il costo giornaliero di un migrante scende 19 euro per i centri più grandi e a 26 per le strutture più piccole. Cosa cambia in termini pratici? Una prima conseguenza l’ha illustrata Gerarda Pantalone: saltano, ha spiegato il direttore del Dipartimento immigrazione del Viminale, “i servizi di integrazione e inserimento nel tessuto territoriale, perché questi vengono riservati ai titolari di protezione internazionale”. Quali conseguenze avranno questi tagli?

“Vengono abbattuti i costi legati all’erogazione di servizi legati a integrazione, vulnerabilità, presidio delle strutture e sanità”, spiega Simone Andreotti, presidente di In Migrazione, cooperativa che ha pubblicato uno studio sulle conseguenze immediate delle nuove direttive, mettendo a confronto le indicazioni contenute nel Capitolato presentato mercoledì dal Viminale con l’ultimo bando emanato dalla Prefettura di Roma nel 2016, risultato a metà della classifica di qualità stilata dalla stessa cooperativa in un report dello scorso giugno.

Chi deciderà di partecipare ai nuovi bandi indetti dalle Prefetture per gestire i Centri di accoglienza Straordinaria, che ospitano i 2/3 dei 144mila richiedenti asilo presenti sul territorio, “non dovrà più preoccuparsi di garantire l’insegnamento della lingua italiana (che verrà riservato solo a chi riceve una qualche forma di protezione e viene ospitato in uno Sprar, ndr), il supporto alla preparazione per l’audizione in Commissione Territoriale per la richiesta di asilo, la formazione professionale“. Via anche il volontariato, le iniziative di socializzazione con le comunità ospitanti e le attività sportive: “Così i loro ospiti saranno costretti a non fare nulla in attesa della valutazione della loro domanda d’asilo e ad andarsene in giro senza costrutto più di quanto non accada oggi”, spiega Andreotti.

Il taglio avrà pesanti conseguenze anche sull’assistenza generica alla persona: viene eliminata la presenza dello psicologo – figura fondamentale in contesti in cui vivono persone che hanno vissuto guerre e subìto violenze – e vengono abbattute le ore minime settimanali dell’assistenza sociale: in strutture che ospitano fino a 50 persone viene chiesta la presenza dell’assistente sociale per sole 6 ore a settimana. “In pratica mezza giornata su 7 giorni”, commenta Andreotti. Mentre l’obbligo di avere in sede un operatore culturale passa da 36 a 10 ore.

Crollano anche le prestazioni sanitarie minime: nei centri più piccoli “viene chiesta la presenza del medico per assicurare una media di 4 ore per ogni ospite all’anno, senza più l’obbligo di avere in struttura la presenza di un infermiere. Per i centri più grandi la media di presenza settimanale del medico per ospite scende a 19,2 minuti“. “Se prima il medico doveva stare obbligatoriamente al centro 6 ore a settimana – prosegue Andreotti, che a Roma gestisce lo Sprar “Casa Benvenuto” – oggi non devo più tenerlo in sede, ma basterà un contratto di reperibilità“. Peggiora anche la situazione delle strutture che hanno fino a 300 posti, dove il medico non sarà più presente 24 ore su 24 ma 24 ore a settimana e l’impegno del paramedico passerà dall’essere h24 a 6 ore al giorno.

“Questo significa che i centri verranno svuotati del personale: se la notte deve esserci un operatore ogni 150 ospiti, ma cosa vuoi gestire? – commenta Andreotti – il bando di Roma ne prevedeva tre. Se in un centro fino a 50 persone non garantisci neanche un operatore h24 c’è un problema di presenza fisica. Con questi tagli ci saranno delle ore in cui gli ospiti saranno da soli. C’è evidentemente un rischio sicurezza“. Tutto ciò, prosegue il presidente di In Migrazione, “comporta una emergenza di tipo sociale, perché si rischiano problemi di ordine pubblico“. Una questione sollevata anche dall’Anci: “Chiudere gli Sprar significa fare un passo indietro – ha detto il presidente di Associazione nazionale dei comuni Antonio Decaro, a margine di un incontro con il presidente della Camera Roberto Fico rispondendo a una domanda sul decreto Sicurezza – rischiamo di avere concentrazioni di migranti in comunità piccole con problemi di accoglienza e integrazione che possono sfociare in tensioni sociali“.

Poi ci sono le conseguenze economiche: “Da un lato si crea disoccupazione: secondo i nostri calcoli, 18mila professionisti sui 36mila che oggi lavorano nelle strutture rischiano di andare a casa. Dall’altro, con l’abbassamento dei costi i bandi rischiano di andare deserti“.

Chi gestisce un centro piccolo, è il ragionamento, potrebbe non poter partecipare e chiudere, perché tagli di queste dimensioni sono sostenibili solo per chi, in virtù delle economie di scala garantite dai grandi numeri, propone strutture grandi: “Quando i bandi andranno deserti, la Prefettura dovrà ricorrere agli affidamenti diretti e alle proroghe. E la proroga di un appalto per legge si fa non con i nuovi prezzi ma con i vecchi, ovvero i 35 euro“.

Senza contare che “le vicende giudiziarie dimostrano il malaffare ha tratto profitti più sulle forniture di vitto e alloggio che sui servizi per l’integrazione – conclude Andreotti – i costi di personale impegnato vanno rendicontati con le buste paga ed è difficile lucrare su questa voce. Tagliando questi costi si rischia di fare un favore al malaffare – conclude Andreotti – che può concentrarsi su servizi più redditizi, come il vitto e le forniture dei beni”. Che sono il punto debole della filiera, come dimostrano le inchieste della magistratura: ultimo il caso di Fondi, dove due onlus spendevano 1,6 euro al giorno per far mangiare i loro ospiti a pranzo e a cena.

@marco_pasciuti