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Carta di identità per giocare online e coprifuoco alle 21, la formula cinese contro la dipendenza dei minori dai videogiochi

Una delle maggiori aziende produttrici di videogiochi in Cina introduce rigide regole per accedere ai giochi. Tutti dovranno inserire i dati dei documenti di identità, i minori potranno giocare al massimo due ore al giorno. Sarà utile per spingere gli adolescenti a studiare di più?

“Favorisca i documenti!” Non siete a un posto di blocco, ma davanti al computer, e vorreste solo farvi una partita a League of Legends. Il fatto è che se foste in Cina, per usare i videogame a breve dovreste presentare la carta d’identità. Il documento è indispensabile per accertare l’età del giocatore e applicare tutte le limitazioni del caso: chi ha meno di 12 anni potrà giocare solo 1 ora al giorno, e in ogni caso il coprifuoco è alle 21. Chi ha un’età compresa fra 13 e 17 anni potrà giocare al massimo 2 ore.

Per capire il perché di provvedimenti tanto drastici, per affrontare quelle che da noi sono le ordinarie liti fra genitori e figli, bisogna contestualizzare la questione. Siamo in Cina, dove il Governo centralizzato ha un forte potere, e dove gli effetti collaterali della dipendenza da videogiochi a quanto pare dilagano.

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Tencent, casa produttrice di giochi famosi in tutto il mondo come il sopraccitato League of Legends, ma anche Player Unknown’s Battlegrounds (PUBG) e tanti altri, è finita lo scorso anno nel mirino di una tempesta mediatica scatenata dal quotidiano di stato People’s Daily. Uno dei suoi videogiochi, Arena of Valor, è stato accusato di “avvelenare” i minori, che giocavano invece di studiare. Potremmo aprire un dibattito su questo tipo di avvelenamenti, ma soprassediamo.

Passando dalle parole ai fatti, nel marzo scorso un divieto di pubblicazione ha di fatto impedito l’uscita di nuovi giochi, costando a Tencent centinaia di milioni di dollari di mancati introiti. Ultimo in ordine di tempo, quest’estate il presidente cinese Xi Jinping ha lasciato intendere che il Governo avrebbe preso ulteriori provvedimenti.

A questo punto Tecent si è fatta furba e ha giocato d’anticipo, annunciando ufficialmente che tutti i videogiochi di sua produzione richiederanno la registrazione di tutti i giocatori cinesi mediante l’inserimento dei dati delle proprie carte di identità. Entro fine 2018 questo passaggio sarà obbligatorio per 10 titoli che si usano su smartphone e tablet, per tutti gli altri titoli il provvedimento sarà attivo dal 2019. Fatta la regola c’è anche l’inganno: il sistema non è in grado al momento di scongiurare l’eventualità che un minore usi lo smartphone di parenti e altri adulti per continuare a giocare.

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Stiamo parlando della più grande restrizione ai videogiochi che sia mai stata imposta. Inutile chiederci se fosse davvero necessaria, o se non ci fossero alternative più democratiche. Stiamo parlando di una cultura e di un governo troppo lontani da noi per fare paragoni. Non entriamo nemmeno nel merito sociale della questione, perché incontreremmo gli stessi ostacoli.

Facciamo solo un’osservazione di carattere tecnologico. Prendiamo 600 milioni di giocatori mobili (da smartphone o tablet) che sono attivi in Cina, aggiungiamo che Tencent vende quasi 100 titoli mobile e dozzine di titoli su PC. L’iniziativa annunciata porterà al tracciamento di centinaia di milioni di utenti. Sommiamo il fatto che la tessa Tencent è anche proprietaria di WeChat e un’importante azionista di Spotify e Snapchat. Conclusione: con un gesto di buona volontà e la gratitudine di tutti, l’azienda ha accesso ai dati di milioni e milioni di utenti cinesi.