Cronaca

Venezia, acqua alta a 156 centimetri: è la quarta di sempre. Brugnaro: “Questo è il momento in cui servirebbe il Mose”

Peggio di così era andata solo nel 1966, 1978 e 32 anni fa. Il sindaco coglie l'occasione per rilanciare: "Sfido qualcuno a dire che il sistema di dighe mobili non serve. Serve eccome, per questo tipo di acque eccezionali". Ma tra dubbi tecnici, arresti e tangenti l'opera non sarà inaugurata prima del 2021. E rischia di essere già vecchia dopo una spesa di 6 miliardi di euro

L’acqua sale, sale, sale, fino a raggiungere con 156 centimetri sul medio mare il quarto livello di sempre. E nelle isole è andata ancora peggio, visto che a Murano e Burano si sono raggiunti rispettivamente 158 e 161 centimetri, Significa che tre quarti di Venezia è finita sono sott’acqua. Era questa la fotografia di Piazza San Marco alle 15 di lunedì 29 novembre: trasformata in un braccio di mare. Non c’è soluzione di continuità tra la facciata delle Procuratie che emergono dai flutti sbattuti dal vento, la Basilica, il Palazzo Ducale e il Canale della Giudecca. Ancora 38 centimetri al di sotto della soglia più alta mai raggiunta, il metro e 96 centimetri del 4 novembre 1966, che fu una giornata tragica non solo per Venezia, ma per tutta l’Italia. Eppure la situazione è drammatica, perché peggio andò, oltre che nel 1966, soltanto il 22 dicembre 1979 con 166 centimetri e l’1 febbraio 1986 con 158 centimetri.

Ai piedi del Campanile, il sindaco Luigi Brugnaro ha lanciato attraverso le telecamere uno spot a favore del Mose, il sistema di dighe mobili che dovrebbe salvare Venezia dall’acqua alta, opera da quasi 6 miliardi di euro che dopo decenni di studi, progetti e lavori, non è ancora entrata in funzione. Ben che vada, se ne riparla fra tre-quattro anni. “Questo è il momento in cui si dovrebbe utilizzare il Mose. Sfido qualcuno a dire che non serve. Serve eccome, per questo tipo di acque eccezionali”, ha detto il primo cittadino.

Aggiungendo: “Ho parlato con il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte mi ha ringraziato per quello che stiamo facendo assieme a tutte le forze dell’ordine, alla Protezione civile e al personale delle nostre società partecipate. Ci ha detto che segue la vicenda da vicino e che verrà presto a Venezia e ci ha messi in contatto con il capo nazionale della Protezione civile”. Non l’unica telefonata, tra Venezia e Roma: “Ho sentito anche i ministri Matteo Salvini e Danilo Toninelli. Entrambi mi hanno chiesto di cosa avevamo bisogno. Ci siamo dati appuntamento a breve per affrontare i problemi della salvaguardia. Mi ha chiamato anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Lui ama Venezia, ci è stato più volte. Prossimamente andrò a trovarlo, gli farò una relazione sulle varie situazioni. Venezia, insomma non è lasciata sola”.

L’eccezionale marea sarebbe stato anche il momento in cui verificare se l’opera è in grado di fermare per davvero le maree e salvare la città più delicata al mondo. O se invece hanno un fondamento i dubbi tecnici che non sono mai scomparsi in questi decenni. La richiesta di Brugnaro, comprensibile da parte di un amministratore pubblico che vede la sua città travolta dalle onde, non è solo un assist al Mose, perennemente in cantiere, è anche atto di accusa nei confronti di un sistema politico che non è ancora riuscito a partorire il varo del gioiellino idraulico. Lentezze burocratiche, arresti e tangenti, interessi incrociati, appetiti di aziende e partiti hanno contribuito a fare del Mose la più grande delle incompiute.

Gli arresti avvenuti nel 2015 hanno scoperchiato il sistema della corruzione, che vedeva coinvolto anche l’ingegnere Giovanni Mazzacurati, il padre del Mose, nel senso che lo progettò e gestì il Consorzio Venezia Nuova, concessionario dello Stato per completare l’opera. Ma da allora i lavori sono proseguiti con grande lentezza. E si è arrivati, di fatto, alla sospensione di Condotte, Coge Mantovani (che ha rilevato recentemente la Mantovani) e Grandi Lavori Fincosit, le tre società più importanti del Consorzio, visto che si trovano in guai economici o addirittura in procedure di liquidazione o concordato.

A questo punto nessuno se la sente di giurare sul rispetto del cronoprogramma. La data più probabile (ma anche ottimistica) di entrata in funzione è il 2021. Qualche mese fa i due commissari Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola, in audizione parlamentare, avevano parlato di completamento dei cantieri entro il 2018 con la posa delle paratoie a San Nicolò, di prove di funzionamento delle barriere con test nel 2019 e di completamento dell’impiantistica entro giugno del 2020. I test definitivi si dovrebbero concludere nel dicembre 2021, con l’entrata in funzione. Considerando che i lavori sono iniziati nel 2003, si arriverà quindi alla soglia dei vent’anni. E con questa tempistica qualsiasi opera rischia il taglio del nastro quando è già vecchia. Molti acciacchi (ruggine nelle paratie, malfunzionamento, necessità di pulizia continua) si stanno infatti già manifestando. E non è un bel segnale per un’opera progettata per durare un secolo.

Due mesi fa il ministro delle Infrastrutture, il pentastellato Danilo Toninelli, aveva accusato il Consorzio di inadempienze: “Oggi si assiste ad una sorta di paralisi da parte del soggetto tecnico operativo incaricato di realizzare l’opera per conto dello Stato, il concessionario Consorzio Venezia Nuova. È una inadempienza ingiustificata e pericolosa rispetto ad un’opera marittima, che rischia di aggravare le condizioni di manutenzione”.