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Turchia, confermato l’ergastolo per cinque giornalisti e un accademico. Sono accusati del tentato golpe del 2016

Secondo i giudici, i fratelli Ahmet e Mehmet Altan avrebbero sobillato i golpisti lanciando messaggi in codice da un programma tv. Condannata anche Nazli Ilicak, editorialista storica di Zaman, il quotidiano dei gulenisti

Attentato all’ordine costituzionale. È l’accusa con cui un tribunale di Istanbul ha confermato in appello l’ergastolo – da scontare al carcere duro – per cinque giornalisti e un accademico turco, tra cui i fratelli Ahmet e Mehmet Altan, ritenuti colpevoli di aver sostenuto l’imam Fethullah Gülen nel tentativo di golpe del luglio 2016. La sentenza era attesa con preoccupazione dalla comunità internazionale, dopo che in questi mesi si sono susseguite campagne a sostegno dei giornalisti incarcerati nella Turchia di Recep Tayyip Erdogan.

Ahmet Altan è stato per decenni uno dei giornalisti turchi più noti, mentre il fratello Mehmet è professore universitario di economia. Secondo i giudici turchi, alla vigilia del tentato colpo di Stato, in una trasmissione televisiva i due fratelli avevano lanciato messaggi subliminali che incoraggiavano all’eversione. Ahmet, infatti, aveva affermato che Erdogan stava portando avanti le stesse politiche che avevano causato i precedenti golpe in Turchia, mentre Mehmet aveva incoraggiato una struttura interna all’esecutivo, che secondo lui stava osservando con attenzione gli sviluppi, a “passare all’azione“.

Condannata anche Nazli Ilicak, a lungo editorialista di Zaman, il quotidiano di riferimento dei gulenisti. All’inizio del processo di primo grado, concluso lo scorso febbraio, aveva ammesso di non essersi resa conto del potenziale eversivo della rete di Gülen, pur rivendicando il proprio lavoro intellettuale. L’ergastolo è stato inflitto anche ai giornalisti Fevzi Yazici, Yakup Simsek e Sukru Tugrul Ozsengul.

In attesa del probabile ricorso all’ultimo grado di giudizio, i giudici hanno ordinato che gli imputati – tranne Mehmet Altan – restino in carcere, dove si trovano da più di due anni. L’accademico era stato rilasciato a giugno dopo un lungo braccio di ferro giurisdizionale, con un tribunale penale a contraddire l’ordine di scarcerazione emesso in suo favore dalla Corte costituzionale: una vicenda che aveva sollevato nuovi allarmi sulla tenuta dello stato di diritto in Turchia.