Cronaca

Aldrovandi, questore di Reggio Emilia: “Col taser sarebbe ancora vivo”. La madre: “No. Morto perché pestato”

"Per fermare un giovane alto un metro e 90 agitatissimo hanno dovuto usare anche i manganelli", ha detto l'ex capo della polizia ferrarese riferendosi al ragazzo morto nella città emiliana nel 2005 durante un controllo di polizia. "Federico è morto perché hanno continuato a pestarlo, schiacciarlo e a dargli calci nella testa quando era già stato immobilizzato e stava chiedendo aiuto", ha detto la madre

Se ci fosse stato il taser, Federico Aldrovandi sarebbe ancora vivo. A sostienerlo è Antonio Sbordone, questore di Reggio Emilia, in un’intervista al Resto del Carlino. “Io ho visto cosa è accaduto a Ferrara dopo il caso Aldrovandi, anche se non ero io il questore presente quell’anno. Questo ragazzo, se ci fosse stato il taser, sarebbe ancora vivo. Per fermare un giovane alto un metro e 90 agitatissimo hanno dovuto usare anche i manganelli“, ha detto l’ex capo della polizia ferrarese riferendosi al ragazzo morto nella città emiliana nel 2005 durante un controllo di polizia. Per quei fatti sono stati condannati quattro agenti per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi: nel 2012 la Cassazione ha confermato le condanne a tre anni e mezzo per Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri.

Il riferimento del questore non è casuale: Reggio Emilia, infatti, è una delle città scelte per la sperimentazione della pistola elettrica che, nei giorni scorsi, è stata usata per la prima volta.  Le affermazioni di Sbordone, però, hanno provocato la reazione di Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi. “Federico – ha detto la donna all’Ansa – è morto perché hanno continuato a pestarlo, schiacciarlo e a dargli calci nella testa quando era già stato immobilizzato e stava chiedendo aiuto. Mi dispiace che si possa giustificare uno strumento pericolosissimo come il taser con questo paragone che non ha senso”.

Poco prima delle 6 di mattina del 25 settembre 2005 i poliziotti Forlani, Segatto, Pontani e Pollastri ingaggiarono una violenta colluttazione con il ragazzo di 18 anni, che stava rincasando a piedi dopo una serata in discoteca con amici. Erano stati mandati sul posto da una telefonata che avvertiva della presenza di un giovane in stato di agitazione, ma quello che doveva essere un controllo è degenerato fino al punto da diventare un pestaggio. Gli agenti, scrisse la Cassazione nelle motivazioni della sentenza, “agirono esercitando un’azione “sproporzionatamente violenta e repressiva”. E inoltre “le condotte specificamente incaute e drammaticamente lesive sono state individuate da un lato nella serie di colpi sferrati contro il giovane, dall’altro nelle modalità di immobilizzazione del ragazzo, accompagnate dall’incongrua protratta pressione esercitata sul tronco”.