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Myanmar, sette anni di carcere a due giornalisti Reuters. ‘Siamo stati incastrati’

Arrestati a dicembre 2017 per possesso di documenti segreti, rischiavano fino a 14 anni. Si proclamano innocenti: "Quei documenti ce li ha dati la polizia". L'Onu ne chiede la liberazione

Sette anni di carcere per ‘possesso illegale di documenti ufficiali’. È la condanna emessa da un tribunale del Myanmar nei confronti di  Wa Lone, 32 anni, e Kyaw Soe Oo, 28, giornalisti dell’agenzia Reuters. Trovati in possesso di documenti coperti da segreto di stato, erano stati arrestati a Yangon il 12 dicembre 2017, e da allora si trovavano in detenzione preventiva. I due reporter stavano indagando sull’uccisione di dieci persone di etnia Rohingya nel villaggio di Inn Din, durante un’operazione delle forze armate nel settembre dello scorso anno. Rischiavano fino a 14 anni per la violazione dell’Official Secrets Act, una legge dell’epoca coloniale.

Fin dall’inizio, però, hanno sostenuto di essere stati incastrati. Secondo la loro versione, sono stati invitati a cena da un agente di polizia, che ha passato loro i documenti. Una volta usciti dal ristorante li aspettavano altri agenti, pronti ad arrestarli. “Non ho paura. Non ho fatto nulla di sbagliato. Credo nella giustizia, nella democrazia e nella libertà“, ha gridato Wa Lone in manette. Diventato padre da poche settimane, non ha ancora mai visto la figlia. Kyaw Soe Oo ha abbracciato la moglie in lacrime, poi i due condannati sono saliti su un furgoncino diretto in carcere.

Nel loro reportage ‘Massacre in Myanmar‘, Lone e Soe avevano denunciato le persecuzioni subite dai musulmani Rohingya nello stato del Rakhine, nell’ovest del Paese, da dove più di 700mila profughi, secondo i dati Onu, sono fuggiti verso il confinante Bangladesh. Secondo il giudice Ye Lwin, i due “hanno tentato più volte di mettere le mani su documenti segreti. Non si sono comportati come normali giornalisti”. A nulla sono serviti gli sforzi della squadra di legali a cui, lo scorso marzo, si era unita anche Amal Clooney, avvocatessa moglie di George. “Questa sentenza è una brutta pagina per il notro Paese”, ha detto l’avvocato Khin Maung Zaw, a capo del team.

Sul profilo Twitter di Wa Lone, ancora attivo, l’ultimo contenuto è del 10 dicembre, due giorni prima dell’arresto. È il rilancio di un articolo in cui si parla di un’indagine Onu – che ha visto la luce proprio la scorsa settimana – in cui si esplicitano le accuse di genocidio e crimini contro l’umanità all’esercito birmano per i massacri del Rakhine. Sabato, più di cento giornalisti e attivisti avevano sfilato nelle strade di Yangon per chiedere la liberazione di Lone e Oo.

La sentenza è stata duramente criticata dagli ambasciatori di Usa, Regno Unito e Australia, presenti in tribunale. Knut Otsby, rappresentante delle Nazioni Unite nel Paese di Aung San Suu Kyi, ha chiesto la liberazione dei giornalisti. La condanna “mina la libertà dei media, il diritto all’informazione del pubblico e lo sviluppo dello stato di diritto in Myanmar”, fa sapere un portavoce della Commissione europea. Il verdetto è “profondamente preoccupante per chi difende la libertà di stampa e la transizione verso la democrazia”, dicono fonti diplomatiche Usa.

“Questi due ammirevoli giornalisti hanno già trascorso almeno nove mesi in carcere con false accuse, concepite per mettere a tacere la loro attività e intimidire la stampa. Senza alcuna prova che abbiano commesso reati e a fronte invece di prove schiaccianti di un complotto della polizia, la sentenza di oggi li condanna alla perdita continuata della libertà”, ha dichiarato in una nota il direttore della Reuters, Stephen J. Adler.