Cervelli in fuga

“A Barcellona perché sogno di fare l’interprete. In Italia lavori estenuanti, in Spagna c’è rispetto per il riposo”

La determinazione a scappare all’estero per Rachele Pilia, milanese di 26 anni, arriva dopo anni di false speranze e impieghi stagionali. Ha fatto l'animatrice e si è prima trasferita a Gran Canaria, dove ha avuto "un buon stipendio, ottimi colleghi e orari più umani". Poi ha deciso di spostarsi in Catalogna. "Triste non essere vicina ai miei affetti, ma l'Italia mi ha delusa"

“Spesso mi chiedono perché sono sempre in partenza, se non mi trovo mai bene da nessuna parte. Io rispondo che per me lo stupido è chi non parte”. Rachele Pilia ha 26 anni e gli ultimi due li ha passati lavorando come animatrice e cameriera in un albergo di Gran Canaria, meta turistica fra le più gettonate dell’arcipelago spagnolo. Da qualche mese però si è trasferita a Barcellona, dove ha iniziato a studiare Lingue perché sogna di diventare interprete, ma non ha ancora deciso dove vivrà: “Non penso mi fermerò per sempre qui, la mia casa è stata alle Canarie, ora a Barcellona, poi chi lo sa”. Milanese con dna sardo, di una cosa è certa: che il rientro in Italia non è fra le opzioni. “È difficile fare la nomade tutta la vita, ma in Italia non ho intenzione di tornare: mi ha delusa”.

La determinazione a scappare all’estero arriva dopo anni di false speranze, impieghi stagionali e sottopagati in giro per l’Italia e per il mondo. Rachele ha cominciato a lavorare subito dopo la maturità classica perché credeva che rendersi indipendente fosse la scelta più responsabile. Pensava che facendo l’animatrice turistica avrebbe potuto mantenersi economicamente e coltivare l’amore per le lingue. I suoi sforzi però non bastavano mai: “Ero stufa di proposte occasionali e mal retribuite. Pur di lavorare con agenzie italiane ho fatto perfino l’animatrice in Egitto: mi pagavano 400 euro al mese, che se ne andavano tutti in ricariche per chiamare la mia famiglia”.

Partire per lei è stata una necessità e se lo ha fatto è perché a Gran Canaria ha trovato ritmi e condizioni di vita migliori che in Italia: “Prima di partire lavoravo anche 54 ore a settimana senza sosta, e spesso con compensi minimi. Nell’isola, invece, ho trovato maggiore professionalità: fin da subito un buono stipendio, ottimi colleghi e degli orari più umani. Si lavora tanto, ma si è tutelati al 100% e c’è molto più rispetto per il riposo della persona”.

In questo tempo libero, Rachele ha sentito spesso nostalgia di casa. Ad eccezione del fratello – emigrato anche lui a Barcellona – la sua famiglia e i suoi amici sono rimasti a Milano e ogni volta che va a trovarli riparte con un po’ di malinconia. ”I miei affetti stanno cambiando le loro vite: si sposano, mettono su famiglia e mi rattrista non essere con loro”. Una tristezza che ha cercato di compensare facendo squadra con altri giovani connazionali expat: ragazzi tra i 20 e i 30 anni, partiti in gran parte per i suoi stessi motivi e con una gran voglia di sostenersi l’uno con l’altro “ci si aiuta perché si sa che non è facile lasciare tutto”.

Vivere all’estero, infatti, ha per lei un vantaggio innegabile: “Fuori dall’Italia riesci a vedere la vita in maniera più lucida, perché affronti i problemi di ogni giorno da solo e la smetti di preoccuparti dei soliti dettagli superficiali”. Anche per questo ha deciso di dare una seconda svolta alla sua carriera e iniziare l’università: “Nei molti anni in cui ho fatto la cameriera e l’animatrice ho sperimentato la fatica e ora so che non mi spaventa, ma per il futuro vorrei un lavoro meno estenuante e più intellettuale”. Un lavoro che coinvolga quello che ama di più: le lingue. Prima di partire per il suo viaggio, Rachele parlava già inglese, francese e tedesco, a Gran Canaria ha potuto perfezionarle tutte. “In effetti – dice – l’italiano è quella che parlo meno”.