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Tokyo, giustiziato Shoko Asahara e gli altri 6 responsabili della strage col sarin nella metropolitana avvenuta nel ’95

I giustiziati facevano parte della setta Aum Shinrikyo. Nell'attentato persero la vita 13 persone mentre a migliaia rimasero feriti per via del gas lasciato nei vagoni.

La strage nella metropolitana di Tokyo avvenuta nel ’95 viene ricordata dai giapponesi come il peggiore attacco nella storia del proprio Paese. Venerdì, a vent’anni di distanza sono stati giustiziati i sette responsabili tramite impiccagione, tra questi Shoko Asahara, leader della setta Aum Shinrikyo e mente dell’attentato. Il gruppo mise delle piccole sacche contenenti gas sarin nei vagoni della metropolitana di Tokyo e il gesto provocò la morte immediata di 13 persone mentre altre migliaia rimasero ferite. Nei mesi a seguire i seguaci di Asahara tentarono altri attacchi che fallirono.

Il leader della setta Aum Shinrikyo si proclamava Cristo e Budda allo stesso tempo. Nato nel 1955 da una famiglia povera aveva frequentato una scuola gratuita per bambini ciechi; alla fine degli anni ‘80 aveva creato un proprio credo che includeva un misto di principi buddisti e induisti e alle sue parole avevano aderito decine di migliaia di seguaci anche fuori dal Giappone.

In breve tempo il culto divenne delirante, per il leader il mondo stava andando verso l’autodistruzione e solo quelli che avevano acquisito in precedenza delle capacità soprannaturali potevano sperare di sopravvivere. La setta divenne clandestina dopo l’attacco del 1995, ma a oggi non è scomparsa e ha preso il nome Aleph o Hikari no Wa e ha ancora seguaci sia in Giappone che in tutto il mondo, in particolare in alcuni paesi dell’ex Unione Sovietica.

Il capo di Gabinetto Yoshihide Suga ha assicurato che il governo è pronto a impedire ogni tipo di rappresaglia dei seguaci del gruppo mentre i parenti delle vittime hanno accolto con favore le esecuzioni. La condanna a morte per impiccagione per Asahara era stata decisa dal tribunale nel 2004 e successivamente confermata dalla Corte Suprema giapponese alla quale si era appellato. In Giappone le condanne a morte non vengono eseguite fino a quando il verdetto contro tutti gli imputati e i complici sono definitivi senza ricorsi pendenti contro i componenti del gruppo.