Diritti

“Brave con la lingua”, un libro per raccontare come il linguaggio ha incastrato le donne. E come uscirne

A cura di Giulia Muscatelli e pubblicato dalla torinese Autori Riuniti, quattordici autrici raccontano quanto le parole abbiano determinato la loro vita: "Non siamo solo questo’, è la critica. Certo che siamo un mondo di più, ma prima è necessario dire che siamo”

“Brave con la lingua”. Si, avete letto bene. È il titolo – volutamente provocatorio – della raccolta di scritti pubblicato dalla torinese Autori Riuniti, che ha un obiettivo tanto semplice quanto impossibile da esaurire: parlare di “come il linguaggio determina la vita della donne”, è il sottotitolo. Un libro, 14 racconti di altrettante penne, tutte femminili, uscito dopo l’ondata #metoo – ma che nulla ha a che vedere con il movimento – e il cui ricavato sarà destinato a chi si batte contro la violenza sulle donne. Mamme, casalinghe, isteriche, maschiacci, puttane, belle ma solo belle, intelligenti ma inguardabili. Sono solo alcuni dei cliché, parole che incastrano le donne in una forma.

Il libro si propone come uno “spazio di verità e di racconto senza filtri” rosa o di altri colori, spiega a ilfattoquotidiano.it la curatrice del progetto editoriale, Giulia Muscatelli. Il concept va dritto al punto: le quattordici autrici hanno individuato qual è stata l’espressione che le ha definite nel corso della loro vita. Ad esempio “frigida” o “fragile”, e ne hanno scritto. Ci sono tutte le frasi-condanna, le frasi-limite che rinchiudono la donna da secoli: “Sei sicura di farcela?”, “Sei una bambina”, “Donna con le palle”, “Ma non puoi avere una vita normale e fare quello che fanno tutti gli altri?”, “Permalosa”, “Che fai piangi?”, “Almeno non sei sola”, “Stai calma”. E poi, ovviamente: “Brava”.

Cento settantuno pagine per delineare i buchi narrativi in cui, per svariati motivi, storici, politici, sociali, si è persa l’esplorazione del femminile per ciò che realmente è. La donna come persona, le sue lotte come battaglie di diritti universali. Lontana da una letteratura in cui hanno pianto troppo, amato troppo, in cui sono troppo madri, o troppo puttane.

Troverete allora, la prima donna Generale che non ci sta ad arrendersi al racconto delle compagne di sinistra per cui “la donna è portatrice di pace”, quindi “non può fare la guerra”. Troverete delle prostitute, leonesse della periferia romana, che impartiscono lezioni di femminismo “reale”, le uniche che possono, “ma non lo ammette mai nessuno”, si legge.

Attenzione, non è un libro femminista e non chiamatela scrittura di genere, “sono altre gabbie fatte di codici e stereotipi che imprigionano il discorso della donna e sulla donna”, spiega Muscatelli, insegnante di scrittura creativa e copywriter. Il focus è tutto qui, raccontare il femminile realmente. Anche in tono ironico, perché “siamo brave con la lingua dobbiamo dirlo noi – ragiona la curatrice -. È fondamentale, perché altrimenti, proprio come è successo in passato, saranno gli altri a farlo. Non solo uomini, anche le altre donne”.

Tra le autrici Francesca Manfredi, vincitrice del Premio Campiello Opera Prima nel 2017 con “Un buon posto dove stare”, (La nave di Teseo) ed Elena Varvello, firma Einaudi (“La vita felice”, 2016), Premio Settembrini e Bagutta Opera Prima per “L’economia delle cose” (Fandango, 2007). Le 14 scrittrici (in basso i nomi e i titoli dei racconti) hanno tutte età diverse, professioni diverse, provenienza geografica e politica diversa. Ma hanno una cosa in comune. “Nessuna di loro ha una visione polarizzata del femminismo. Non c’è un manifesto, non ci sono asterischi per la correttezza di genere. E questa è la cosa più politica del libro”, secondo la curatrice. “Adesso l’attenzione è tutta spostata su come essere davvero emancipate. Ma è un’altra etichetta. È un altro confine alla nostra definizione, anche se a porlo è una donna. Non c’è una donna sbagliata nel libro”.

Se i limiti del mondo sono i limiti del linguaggio, questa raccolta di storie, alcune inventate altre autobiografiche, è “la dimostrazione di come sia possibile uscire dalle gabbie linguistiche, e diventare, davvero, ‘Brave con la lingua’”, recita la prefazione. Brave a comunicarlo, prima di tutto.

Un titolo, un perché. “Qualcuno dirà, ‘eh, ma vuol dire altro’. – ammette col sorriso Muscatelli – Io risponderò: ‘Si, anche. E quindi?’ Perché non posso dirlo, perché siamo donne? Perché siamo scrittrici serie ed impegnate?”. Persino alcune autrici hanno fatto fatica ad accettare il titolo, “figuriamoci la mia bacheca Facebook!”, scherza. In tanti chiedono se è un libro erotico. Molti non lo hanno acquistato, scandalizzati. “Le prime critiche sono arrivate proprio dai librai, dagli addetti al settore o dalle donne. ‘Non siamo solo questo’, è la critica. Certo che siamo un mondo di più, ma prima è necessario dire che siamo”. Liberamente. Questo è il percorso di “Brave con la lingua. Come il linguaggio determina la vita delle donne”, per rompere l’incantesimo delle parole che hanno incastrato il femminile. Benvenuti in un nuovo linguaggio.