Cronaca

Australia, da ottobre i preti devono denunciare i casi di pedofilia appresi in confessionale. 600 sacerdoti contrari

A farsi portavoce della protesta degli ecclesiastici è stato Padre Scott Armstrong, presidente della Australian Confraternity of Catholic Clergy: "È un'intrusione dello stato nel dominio del sacro, un simile obbligo non sarebbe comunque di alcun aiuto"

In Australia 600 preti sono contrari all’ipotesi di legge che chiede ai sacerdoti di denunciare casi di pedofilia appresi in confessione. La norma viene vista come “un’intrusione dello stato nel dominio del sacro”, delle leggi che minano la libertà di religione. “Ogni sacerdote degno del suo nome farebbe tutto il necessario per proteggere i bambini, un simile obbligo non sarebbe comunque di alcun aiuto per loro” ha detto il presidente dell’Australian Confraternity of Catholic Clergy, padre Scot Armstrong, per giustificare la presa di posizione dei presuli. La decisione dei 600 sacerdoti fa appello al diritto canonico riguardante il sacramento della penitenza per il perdono dei peccati: secondo i preti, la legislazione in via di approvazione farebbe fallire il rapporto religioso inviolabile tra il penitente con Dio.

L’iter della legge, tuttavia, va avanti. A ottobre il South Australia sarà il primo stato ad abolire l’esenzione finora accordata al segreto del confessionale dall’obbligo di denuncia. I sacerdoti saranno passibili di multe di 10mila dollari (6500 euro) se non riferiranno informazioni su casi di abusi apprese in confessione. Leggi simili sono state annunciate in Western Australia, in Tasmania e nel Territorio della capitale federale Canberra. Il nuovo codice di leggi intende applicare una delle 122 raccomandazioni della Commissione nazionale d’inchiesta sulle risposte delle istituzioni agli abusi di pedofilia.

La legge che si sta dibattendo trova terreno fertile dopo un recente caso di cronaca che vede protagonista l’arcivescovo di Adelaide Philip Wilson, che lavorava con un prete finito in carcere per abusi su minori negli anni ’70. I giudici hanno stabilito che il presule era a conoscenza dei fatti e all’epoca non ha informato le autorità civili: per questo motivo è  stato condannato a 12 mesi di reclusione. Il prete che abusò è morto nel 2006 in carcere dopo circa un anno di detenzione all’età di 65 anni. A metà agosto i giudici decideranno se concedere gli arresti domiciliari a mons. Wilson per motivi di salute.

I vescovi australiani auspicano che questa condanna possa dare “un senso di pace e di guarigione a quanti sono stati abusati dal defunto sacerdote”, pur riconoscendo che “gli effetti di un abuso sessuale possono durare per tutta una vita”.  Venuta a conoscenza di questi episodi, la chiesa australiana ha deciso di portare avanti significative riforme con l’intento di scongiurare qualsiasi altro episodio simile e di proteggere i bambini all’interno delle comunità cristiane. Sulla vicenda è intervenuto anche il vescovo Greg O’Kelly, nominato dal Papa il 3 giugno scorso e amministratore apostolico “Sede Plena” dell’arcidiocesi di Adelaide: “In queste circostanze – ha detto – dobbiamo essere molto consapevoli dell’impatto sui sopravvissuti, sulle loro famiglie e su tutti coloro che li amano. Ho assistito all’angoscia e al dolore delle vittime. La Chiesa deve continuare a compiere ogni sforzo per ascoltarli e sostenerli. Il nostro impegno per la sicurezza di ogni bambino nella nostra Chiesa e nelle nostre scuole è fondamentale”.