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Messico al voto, Amlo superfavorito promette la rivoluzione. Con lui addio ai partiti al potere da 90 anni

Invertire la tendenza neoliberista, sconfiggere la corruzione, battere il pugno con Donald Trump e governare per i più poveri sono i punti al centro del programma di Andrés López Obrador - 'Amlo' per i suoi sostenitori - che tenta di diventare presidente per la terza volta. La sfida sarà anche lottare contro la violenza che nello Stato ha raggiunto numeri da crisi umanitaria: oltre 250mila persone uccise dal 2006 ad oggi

È il giorno delle elezioni in Messico, le più grandi della storia, in cui si rinnoveranno le cariche più importanti: presidente, governatori degli Stati, Parlamento e sindaci delle città. E se le previsioni dei sondaggi si tradurranno, anche solo in parte, in realtà, il Paese entrerà in una nuova importante fase della sua storia nazionale che comporterà lo scardinamento del sistema dei partiti tradizionali al potere da 90 anni. Condizione di questo è che il voto – al quale sono chiamati 90 milioni di messicani – consacri il candidato di centro sinistra del movimento Morena, Andrés López Obrador – Amlo per i suoi sostenitori -, vincitore delle elezioni presidenziali, sfida da lui intrapresa per la terza volta dopo le sconfitte subite nel 2006 e nel 2012. Questa è stata una campagna elettorale contrassegnata dalla violenza: solo nel 2018 sono stati uccisi 133 uomini politici e 50 loro famigliari. E anche nel mondo dei media lutti e violenze sono stati tanti: Ana Cristina Ruelas, direttrice della associazione ‘Articolo 19’, ha ricordato che fra le 200 aggressioni, fra cui sei omicidi, subite da giornalisti messicani nel 2018, circa 60 sono avvenute durante la campagna per le elezioni. L’ultima vittima è José Guadalupe Chan Dzib, specializzato in cronaca nera, ucciso a colpi d’arma da fuoco venerdì sera in un bar di Felipe Carrillo Puerto, città dello Stato di Quintana Roo.

Con lo slogan “la tercera es la vencida” Amlo promette, dopo appunto i tentativi falliti nel 2006, per una manciata di voti, e nel 2012, trasformazioni epocali in Messico, come quelle della Rivoluzione del 1910, per invertire la tendenza neoliberista, sconfiggere la corruzione, battere il pugno con Donald Trump e governare per i più poveri. Un obiettivo che López Obrador, alla guida della coalizione ‘Juntos haremos historia’, che riunisce la sua Morena ed altre formazioni di sinistra radicale, ma che non disdegna l’appoggio del partito evangelico, sembra avere ormai a portata di mano. Dallo scorso novembre ad oggi Oraculus, il sito che fa la media dei diversi sondaggi, dà il 64enne ex sindaco di Città del Messico in testa, con una distanza anche di oltre 20 punti, negli ultimi sondaggi, sugli sfidanti diretti, entrambi sulla linea della continuità con la svolta riformista di Enrique Peña Nieto. Si tratta di Ricardo Anaya, esponente dello storico partito del centrodestra alla guida di una coalizione con una formazione di centrosinistra Prd che è proprio il partito con cui Amlo si è candidato la prima volta 12 anni fa. E Josè Meade, l’indipendente su cui il Partito rivoluzionario istituzionale – che a parte una parentesi di 12 anni guida il Messico da 80 anni – ha puntato nel tentativo di rifarsi un’immagine, dopo che gli ennesimi scandali per la corruzione fanno terminare i sei anni di mandato a Peña Nieto con la popolarità ai minimi storici.

Quella che il vincitore delle presidenziali dovrà affrontare è in primis la lotta al crimine e alla violenza, che ormai è una vera e propria crisi umanitaria. Secondo cifre ufficiali, sono almeno 250.547 le persone che sono state uccise nei differenti Stati messicani fra il 2006 ed il 2018, a causa di attività legate principalmente al narcotraffico e alla corruzione di ogni tipo. Una media di 80 persone al giorno. Ed è per questo che non sorprende il fatto che le associazioni per la difesa dei diritti umani abbiano denunciato l’esistenza in Messico di circa 35mila desaparecidos e di 30mila cadaveri che non hanno potuto essere identificati. Tutto ciò nonostante che già nel lontano 2006 il presidente Felipe Calderón avesse deciso di militarizzare l’ordine pubblico facendo scendere l’esercito nelle strade. Ma la misura non ha impedito l’espansione della violenza, divenuta oggi dilagante.