Diritti

Migranti, nella comunità che ospita i minori non accompagnati: “Hanno subito violenze di ogni tipo. Sono persone non slogan”

Tra i migranti sbarcati a Reggio Calabria la settimana scorsa con la nave Sea-Watch c’è anche un bambino nigeriano di 11 anni che ha visto i suoi genitori uccisi in Libia poco prima di salire sul barcone che lo ha portato al largo delle coste libiche, dove poi è stato salvato dall’ong.

Adesso è ospite della Casa dell’Annunziata gestita dalla Comunità Papa Giovanni XXIII e si trova assieme ad altri minori non accompagnati che, negli anni, sono arrivati in Italia dopo un lunghissimo viaggio della speranza.

“È quasi una settimana che è con noi – spiega il responsabile immigrazione della comunità diocesana Giovanni Fortugno -. Gli sono stati uccisi papà e mamma che viaggiavano con lui. Si trovavano in Libia da un anno, non erano riusciti a partire a causa del blocco imposto dall’ex ministro Minniti. Il ragazzino ha parlato pochissimo perché ha un trauma da gestire. Dobbiamo rispettare i suoi tempi. Questo è il momento dell’ascolto, dopo di che capiremo insieme alle istituzioni che tipo di progetto fare su di lui”.

Il responsabile della comunità Papa Giovanni XXIII spiega cosa significa occuparsi dei minori non accompagnati: “Non ci possiamo dimenticare che prima di arrivare a Reggio Calabria hanno visto persone morire e hanno subito violenze”. Un ragazzo egiziano, ospite della struttura, racconta il suo viaggio iniziato ad Alessandria quando aveva 13 anni: “È stato difficile salire sul barcone. Potresti rischiare la vita. Se non paghi ti buttano in mare o ti uccidono. Prima del nostro un barcone è affondato. Adesso voglio finire la scuola e fare il meccanico per aiutare la mia famiglia”.

“Non hanno alternative – aggiunge Giovanni Fortugno – Quasi nessuno di loro sa nuotare e sanno perfettamente che stanno rischiando di morire. L’immigrazione non può essere ridotta a slogan o ai ragionamenti di questi giorni. Il braccio di ferro va fatto nei luoghi opportuni, non mercificando le persone”. Per quanto riguarda il mondo dell’accoglienza “non bisogna fare di tutta l’erba un fascio – conclude -. È ovvio che occorrono determinate figure professionali, di impegno. E questo ha un costo. Noi con le nostre strutture davamo lavoro a 38 giovani di questa città. Non abbiamo problemi ad aprire la struttura a qualsiasi politico voglia capire come operiamo”.