Giustizia & Impunità

Ragusa, 5 arresti per caporalato: “Alloggi fatiscenti e cibo scaduto in cambio di lavoro. Minorenni costretti a prostituirsi”

Gli inquirenti hanno accertato l'esistenza di un'associazione criminale finalizzata al traffico di esseri umani e allo sfruttamento lavorativo. Alle vittime, 13 in totale, venivano forniti vestiti trovati nella spazzatura, mentre quattro minorenni erano anche costretti a fare sesso a pagamento

Promettevano di farli vivere in una casa dignitosa ma, in cambio del lavoro nei campi, ricevevano solo vestiti trovati nella spazzatura, cibo di bassa qualità o scaduto ed erano costretti a dormire in alloggi fatiscenti senza riscaldamento. Alcuni di loro, per lo più minorenni, venivano anche obbligati a prostituirsi. In caso di ribellione, botte e violenze di ogni tipo. Per questo la polizia di Ragusa ha arrestato cinque romeni, accusati a vario titolo di caporalato, associazione a delinquere, traffico di esseri umani e sfruttamento pluriaggravato della prostituzione (anche minorile).

Le indagini, coordinate dalla Procura distrettuale di Catania, sono partite dopo la denuncia nel 2017 di un connazionale dei cinque presunti aguzzini, attirato come gli altri dall’inganno. Sulla base del suo racconto, riferiscono gli inquirenti, è stata accertata l’esistenza di un’associazione criminale finalizzata al traffico di esseri umani e allo sfruttamento lavorativo. Tutte le vittime (13 in totale, fra cui quattro minorenni) sono ora ospitate nella struttura di un’associazione anti-tratta presente sul territorio.

Gli arrestati sono Lucian Milea, di 40 anni, la compagna Monica Iordan, di 31, Marian Munteanu e Alice Oprea, anche loro 31enni, e Marian Oprea (37). Ricercato anche un sesto connazionale. L’operazione è stata chiamata “boschetari” (senzatetto in romeno) perché gli inquirenti hanno scoperto che la banda reclutava in Romania persone in estremo stato di bisogno, analfabete o appena capaci di leggere e scrivere, per poi trasferirle in Italia e costringerle a lavorare con la forza. Le vittime venivano private dei documenti di identità e tenute in condizione di totale isolamento dal loro Paese d’origine.