Diritti

Mario Puiatti, l’uomo che aiutava le donne ad abortire prima della legge 194: “Un atto di disobbedienza civile necessario”

L'attuale presidente dell'Aied, radicale da una vita, era tra coloro che alla fine del 1977 si assunsero la responsabilità di applicare la legge sull'interruzione di gravidanza prima che entrasse in vigore: "Era illegale, ma non è mai venuto nessuno a controllare. Noi avvisavamo la procura prima di ogni intervento", racconta a Ilfattoquotidiano.it. E sulla difficoltà che ancora oggi le donne incontrano quando vogliono abortire dice: "Arrivati a questo punto o si impedisce a chi è contro di fare ginecologia o, dopo 40 anni dalla legge, si possono prevedere delle misure per i medici che non voglio effettuare le interruzioni"

Alla fine del 1977 in Italia c’erano persone che si erano assunte la responsabilità di applicare una legge non ancora in vigore. Mario Puiatti, radicale e iscritto alla Lid, la Lega italiana per l’istituzione del divorzio, era uno di questi. Non un ginecologo, né un medico. Ma un attivista in difesa della libera scelta delle donne: “Per molti mesi abbiamo effettuato interventi di interruzione di gravidanza nonostante la legge 194 non fosse evidentemente ancora entrata in vigore. Era illegale? Certo – racconta a Ilfattoquotidiano.it – Ma era soprattutto un atto di disobbedienza civile necessario: non si poteva fare, eppure nessuno è mai venuto a controllare. I diritti non piovono dal cielo, bisogna conquistarseli se serve anche con la disobbedienza e poi bisogna lottare per mantenerli”.

Il clima dell’epoca, l’aria di cambiamento – C’era un’effervescente aria di cambiamento in Italia, in quel periodo. Era il frutto di lotte cominciate negli anni precedenti, passate per arresti illustri e clamori necessari a trasformare il Paese in un luogo di tutela dei diritti. È in questo clima che Puiatti, oggi presidente nazionale dell’Aied, l’Associazione italiana per l’educazione demografica, aveva portato nel Pordenonese il piglio combattivo dei radicali, non solo fondando la sede locale dell’Aied ma anche effettuando aborti quando ancora non erano leciti al fine di garantire il diritto di ogni donna di decidere se e quando diventare madre.

“Figli: quanti ne vuoi, quando li vuoi” – “È ormai più di 60 che noi anni lavoriamo per favorire una corretta educazione sessuale e così ridurre le interruzioni”. Quel “noi” rappresenta l’Aied, nata nel 1953 per “diffondere il concetto e il costume della procreazione libera e responsabile e stimolare la crescita culturale e sociale in materia di sessualità”. Puiatti sintetizza così la mission dell’associazione: “Figli: quanti ne vuoi, quando li vuoi”. La donna, spiega, “deve poter scegliere, non subire se e quando fare i figli che vuole. La contraccezione sicura non è un farmaco, è prima di tutto uno strumento di libertà che consente alla donna di vivere serenamente la propria sessualità”.

Avvisavamo i pm, ma i tempi degli arresti erano finiti” – Una filosofia che resiste da sempre in seno all’associazione, che anche prima dell’introduzione della legge 194 lavorava a favore del benessere psicofisico delle donne. “Operavamo inviando preventivi telegrammi di avviso alla procura della Repubblica. Noi li avvisavamo, loro sapevano, ma a noi non è mai successo niente perché i tempi degli arresti erano già passati”. Una storia di disobbedienza civile, calata in un contesto di fermento – quello degli anni Settanta – che ha portato l’Italia più vicino all’Europa contemporanea grazie ad una serie di leggi – compresa la legge Basaglia, fresca di quarantesimo anniversario –  che hanno reso l’Italia un Paese più civile.

L’effetto Moro – “È stata una stagione entusiasmante, eppure nessuno ricorda che la legge 194 e la 180, entrambe del 1978, furono approvate dal Parlamento a maggio per quello che viene chiamato “effetto Moro”: perché i radicali avevano raccolte le firme su un pacchetto abrogativo che se si fosse votato le leggi sarebbero state approvate a furor di popolo – ricorda Puiatti – Per evitare i referendum sono stati fatti molti compromessi in parlamento, dal quale ne è uscita una legge che in realtà ha come titolo “Norme per la tutela sociale della maternità” e i cui primi tre articoli di fatto sono poco o nulla applicati”.

Il codice Rocco, un obbligo contrastarlo – In effetti la 194 è andata a sostituire gli articoli del codice di procedura penale del 1930, il cosiddetto codice Rocco di epoca fascista, che prevedevano la reclusione da sei mesi a due anni anche a chi istigasse all’aborto, o fornisse i mezzi per praticarlo. “Era un obbligo, per noi uomini di scienza, fare qualcosa. Gli articoli del codice Rocco, ministro della Giustizia di Mussolini, avevano come definizione al titolo X “Dei delitti contro la integrità e la sanità della stirpe”, secondo i quali era reato anche fare propaganda dei mezzi che contrastavano la procreazione perché in fondo, si sa, Mussolini aveva bisogno di baionette…”.

Da Spadaccia a Pannella, i disobbedienti – Quel che successe nel 1978 era dunque frutto di anni caldissimi: nei primi giorni del ‘75 la polizia fece irruzione in una clinica privata di Firenze arrestando il ginecologo Giorgio Conciani, i suoi assistenti e denunciando oltre 40 donne e, pochi giorni dopo, arrestò anche il segretario nazionale del Partito Radicale, Gianfranco Spadaccia. Contemporaneamente fu colpita da mandato di cattura anche Adele Faccio, mentre Marco Pannella ricevette una comunicazione giudiziaria. “Era la prima volta che il segretario nazionale di un partito veniva arrestato perché aveva fatto una dichiarazione di adesione a una disobbedienza civile, sarebbe stato poi normale che questo fatto avesse delle conseguenze sul nostro lavoro – aggiunge Puiatti – anche perché nel mentre arrivò la sentenza della Corte Costituzionale su un caso specifico e quindi all’Aied, benché facesse ancora scalpore, alla fine del ‘77 e all’inizio del ‘78 ci sentivamo forti. Eravamo un po’ discoli, ecco… disobbedienti. Era un’azione politica provocatoria, ma non lo facevamo sulla pelle delle donne”.

“Dopo 40 anni i ragazzi non sanno nulla di più” – A distanza di quarant’anni, però, la conquista ottenuta sembra ancora non essere abbastanza. “Il mondo è cambiato, per fortuna, e grazie a quelle conquiste l’Italia è diventata più civile e europea nonostante qualche barbaro che ora vorrebbe fare altro. Ma io insisto su un elemento: sono passati 40 anni e gli adolescenti di oggi non sanno niente di più di quello che sapevano i loro genitori alla loro età. Il nostro dovere è creare un clima che metta in condizione le donne che vogliono fare figli – e per loro non deve essere né obbligatorio né un dovere – di poterli fare. Eppure una nostra indagine interna rivela che un terzo delle donne dichiara che non ha fatto i figli che voleva fare”.

“Un’azione concreta contro l’aborto? L’educazione sessuale” – Dichiarazioni che profumano di denuncia di una società che se da un lato ha saputo muoversi sul piano della difesa dei diritti anche a suon di disobbedienza, dall’altro ha trovato un’istituzione incapace di leggere i cambiamenti di un’epoca fino in fondo. “In Svezia dal 1955 l’educazione sessuale fa parte del piano di studio. Sono solo una manciata i Paesi dove non succede: assieme a Polonia, Romania, Cipro e Bulgaria, ci siamo noi – racconta – Qui come ogni anno si è invece svolta la marcia antiabortista a Roma. E come ogni anno penso che questa manifestazione sia non solo inutile, perché l’unica azione concreta contro l’aborto è un’educazione sessuale che favorisca l’uso dei contraccettivi, ma anche dannosa perché chi la promuove sono i cattolici integralisti e se il Vaticano è contrario alla contraccezione, dicendo che non bisogna usarla, significa che promuove l’aborto”.

“Misure per i medici obiettori” – L’amarezza di Puiatti sfocia poi quasi in sarcasmo toccando l’argomento “obiezione”: “Aveva senso quando è stata fatta la legge, perché la 194 stabilisce che gli ospedali devono fare l’interruzione, quindi chi non è d’accordo semplicemente oggi non deve fare ginecologia. È come permettere a qualcuno che vuole fare il poliziotto di essere contrario all’uso delle armi. Arrivati a questo punto o si impedisce a chi è contro l’aborto di fare ginecologia o, dopo 40 anni dalla legge, si possono prevedere delle misure per i medici che non voglio effettuare le interruzioni di gravidanza – conclude il numero uno dell’Aied – Si può pensare a una detrazione dello stipendio o all’obbligo a fare un numero più alto di ore in sala parto. Non è corretto che a parità di stipendio ci siano medici che devono fare il lavoro che altri non vogliono fare”.

La foto è tratta dal sito dell’Associazione Radicali