Lavoro & Precari

Rosarno, nulla cambia. Medu: “Sfruttamento e contratti non registrati. Istituzioni hanno cronicizzato problema”

I “dannati della terra”. È questo il titolo del Rapporto 2018 sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro realizzato da Medici per i diritti umani e presentato oggi a Roma. A otto anni dalla guerriglia, poco è cambiato. E la politica agisce in modo spesso contraddittorio

Cosa è cambiato a Rosarno otto anni dopo la guerriglia, le proteste dei migranti contro il ferimento di uno di loro? Dopo la “caccia” e la rivolta? “Mai più Rosarno”, avevano assicurato le istituzioni. “Lavoriamo nella Piana di Gioia Tauro da ormai 5 anni e la situazione è rimasta la stessa, molto critica, di grave e sistematico sfruttamento e precarietà giuridica dei lavoratori migranti”, dice a ilfattoquotidiano.it Jennifer Locatelli, coordinatrice Medici per i diritti umani del progetto Terragiusta che ha assistito duemila lavoratori migranti.

Sono i “dannati della terra”. È questo il titolo del “Rapporto 2018 sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro” realizzato da Medu e presentato oggi a Roma. “Le istituzioni non sono riuscite ad adottare alcuna soluzione efficace”, dice Locatelli. “Si sono limitate a interventi di carattere emergenziale che reso cronica una situazione di marginalizzazione e di assenza di inserimento. Nonostante le dichiarazioni pompose che si sono susseguite soprattutto negli ultimi due anni”.

Da dicembre ad aprile la clinica mobile Medu ha operato nella Piana “prestando assistenza socio-sanitaria ai lavoratori migranti che anche quest’anno si sono riversati nella zona durante la stagione agrumicola”. Stagione in cui almeno 3500 persone, “distribuite tra i vari insediamenti informali, hanno fornito anche quest’anno manodopera flessibile e a basso costo ai produttori locali di arance, clementine e kiwi”, si legge nel rapporto.

“Solo nel ghetto, la vecchia tendopoli ha ospitato circa 2500 persone”, racconta ancora Jennifer Locatelli. Senza acqua potabile, “tra immondizia, bagni maleodoranti e fatiscenti, bombole a gas per riscaldare cibo e acqua, pochi generatori a benzina, materassi a terra o su vecchie reti e l’odore di plastica e rifiuti bruciati”. Nell’ultimo dei frequenti roghi che hanno più volte distrutto baracche, oggetti e documenti degli abitanti, il 27 gennaio scorso è morta una giovane nigeriana, Becky Moses. Il comune nella cui area si trova il ghetto, San Ferdinando, di anime ne conta 4500. Finita la stagione, “i lavoratori migranti si stanno spostando verso la zona della Capitanata, in provincia di Foggia: al momento, nella vecchia tendopoli, ci sono 7/800 persone. Un centinaio o più sono sparse negli altri capannoni”. Sempre più migranti tendono a restare anche dopo la fine della stagione: “Probabilmente perché non sanno dove andare. Molte persone sono in Italia da pochi anni, sono uscite dai centri di accoglienza e non hanno chiaro cosa fare. Tanti aspettano il permesso di soggiorno e il rinnovo: per quest’ultimo, nella questura di Gioia Tauro i tempi arrivano anche a sei mesi”.

Sotto accusa, per le associazioni, l’operato delle istituzioni, locali, regionali e nazionali. “Nel mese di agosto dell’anno scorso è stata allestita un’ennesima tendopoli, la terza in ordine di tempo”, si legge ancora nel report, “che non ha tuttavia fornito una risposta adeguata: con 500 posti disponibili a fronte delle oltre 3000 persone presenti, in assenza di assistenza medica, sanitaria e socio-legale e di mediatori culturali”: ancora una volta “una soluzione di carattere puramente emergenziale”.

La clinica mobile di Medu ha prestato assistenza a 484 persone, realizzando in totale 662 visite. L’identikit del paziente è uomo, giovane – età media 29 anni – originario dall’Africa sub-sahariana occidentale. Non mancano le donne, circa 100 provenienti dalla Nigeria, quasi certamente vittime di tratta a scopo di prostituzione. “Girando per le strade della Piana è comune vedere donne nigeriane, ma non solo, che aspettano i clienti italiani che passano a prenderle durante il giorno”, dice Jennifer Locatelli.

La maggior parte dei braccianti del ghetto di Rosarno non è irregolare. “Il 92,6% dei pazienti è regolarmente soggiornante”, si legge nel rapporto. “La situazione lavorativa è sconfortante”, spiega Locatelli. “Oltre il 70% delle persone lavora senza contratto. Nel tempo c’è stato un miglioramento, anche in seguito ai controlli scattati con la legge sul caporalato del 2016. Ma il 27,8% delle persone ha contratti finti. Spesso si tratta di una lettera di assunzione e il contratto non viene registrato. O comunque non rispetta le condizioni dei contratti di settore”.

I lavoratori restano invisibili, spiega Medu. Il report ricorda i dati forniti dal prefetto Andrea Polichetti, Commissario Straordinario per l’area del Comune di San Ferdinando: nel 2017 sono stati stipulati 21mila contratti agricoli nella Piana, 16mila a italiani e 5mila a stranieri. “È un dato che colpisce in modo doloroso girando per i campi di agrumi dove la presenza di braccia nere impegnate nella raccolta è quanto mai evidente”.

Il 34% delle persone lavora 7 giorni su 7. La metà dei lavoratori sa cos’è la busta paga, ma solo l’8,3% la riceve. I lavoratori, dice il rapporto, vengono pagati a cottimo – soprattutto nel caso della raccolta di arance e mandarini: 50 centesimi per una cassetta di arance, 1 euro per i mandarini. Il pagamento diventa a giornata nel caso della raccolta di olive o in altre attività agricole. Poco più del 90% dei lavoratori percepisce tra i 25 ed i 30 euro al giorno. Le giornate lavorative non vengono dichiarate dal datore di lavoro nell’83,92%. Oppure viene dichiarato un numero di giornate molto inferiore a quelle svolte.

“La filiera è assolutamente iniqua, l’obiettivo è quello del basso costo dei prodotti, di una concorrenza sempre più dura”, dice a ilfattoquotidiano.it Antonello Mangano di Terre Libere. “La conseguenza è quella di lavoratori sempre più sfruttati”. E i lavoratori africani “sono molto ricattabili”. “La maggior parte di loro vive nel limbo dell’attesa dei documenti”.

Qui non si parla di un’economia locale ma globale: le arance di Rosarno vanno a finire nei supermercati e vengono usate nella produzione di spremuta d’arancia. “È stato fatto qualche passo avanti sul prezzo del succo d’arancia, mentre dalla GDO non ci sono segnali di apertura”, prosegue Mangano. “È molto probabile che le grandi aziende non sappiano in che condizioni è prodotto ogni singolo lotto”, scrive nel report. “Ma la sensibilità sulle questioni etiche deve crescere al punto da costringerli a organizzarsi per sapere”. E fondamentale è “invertire l’onere della prova. Dobbiamo trovare in etichetta ogni informazione sul rispetto dei diritti dei lavoratori, non essere costretti a indagare”.

E lo Stato? “Dovrebbe evitare di creare condizioni di sfruttamento. Se non dai i documenti crei persone ricattabili che per forza di cose vanno a finire nei ghetti”, dice ancora Mangano. “Bisognerebbe quindi eliminare i presupposti. Poi le proposte sono sempre le stesse: controlli e politiche abitative, quindi non fare tutto quello che è stato fatto in questi anni”. E la legge sul caporalato? “Interviene a valle in termini penali quando la situazione si è già creata. È come se nel governo ci fossero diverse anime: alcuni creano il fenomeno, altri provano a contrastarlo. Devono mettersi d’accordo su politiche coerenti”. Minniti vs Orlando? “Sì, semplificando. Non c’è una coerenza di interventi. Poi il tema del lavoro è lavoro, riguarda italiani, comunitari, e non comunitari. Sono tante le agenzie interinali che sfruttano gli italiani in condizioni simili”. Come nel caso di Paola Clemente, ricorda Mangano, morta nel 2015. “Lavorava nella raccolta dell’uva ad Andria ed era assunta da un’agenzia interinale. È morta perché lavorava in condizioni veramente difficili”. Il marito raccontava che guadagnava 27 euro al giorno. “Non è caporalato ma di fatto lo era: una forma di grave sfruttamento”.