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Marocco, massacro di cani randagi per la visita degli ispettori Fifa in vista dei Mondiali 2026. “Uccisi a fucilate di notte”

La denuncia arriva dagli educatori cinofili italiani che da quattro anni aiutano l’associazione animalista Le coeur sur la patte nella gestione della colonia di randagi di Taghazout, seguendo vaccinazione e sterilizzazione: "Ora andare avanti non è facile"

Ancora gli ispettori della Fifa, ancora una strage di cani. Questa volta lo sfondo dello sterminio di animali a fucilate non è più l’Ucraina degli Europei di calcio 2012, ma il Marocco candidato a ospitare i Mondiali 2026. La denuncia arriva dagli educatori cinofili italiani che da quattro anni aiutano l’associazione animalista Le coeur sur la patte di Taghazout, un piccolo villaggio di pescatori a pochi chilometri da Agadir. “A Taghazout da lunedì non c’è più nessun cane. Uomini armati e gendarmi sono arrivati di notte con dei camioncini. Pagando ragazzini per sapere dove si nascondevano i cani ne hanno poi uccisi a decine fucilandoli o acciuffandoli con delle reti e trasportandoli per ucciderli da un’altra parte”, spiega a Ilfattoquotidiano.it, Lorenzo Niccolini, istruttore cinofilo formatosi alla SIUA di Bologna.

La mattanza corrisponde all’arrivo dei funzionari della FIFA che dovranno ispezionare per una settimana la provincia di Agadir con l’obiettivo di capire se il Marocco può battere la triade Stati Uniti/Messico/Canada nella corsa ai Mondiali 2026. Così come nell’attesa degli Europei a Kiev nel 2012 si sono fatte fuori decine di migliaia di cani in pochi mesi, anche lo stato africano sembra non voler essere da meno. “Da queste parti i cani non sono molto tollerati, anzi”, continua Niccolini. “Mentre il gatto è quasi sacro, soprattutto perché mangia i topi, e altri animali vivono, almeno fino al giorno della loro uccisione a fini alimentari, liberi di pascolare dal momento che non ci sono allevamenti di tipo intensivo, il cane è generalmente bandito. Quando passa il re in parata, ad esempio, anche all’associazione Le Coeur sur la patte è stato ordinato di raccoglierli tutti e renderli invisibili agli occhi del sovrano”.

Eppure la contraddizione che sta vivendo la zona di Agadir è sotto agli occhi di tutti. Soprattutto dei turisti occidentali, americani, europei e australiani, che negli ultimi tempi hanno trovato proprio a Taghazout uno dei migliori luoghi per fare surf anche durante l’inverno. Solo che nella zona la quantità incontrollata e non smaltita di rifiuti non fa altro che alimentare la sopravvivenza dei cani che se ne ciba, e che poi si riproduce in modo incontrollato. “Il paradosso è che per richiamare il turismo anche d’élite che si sta affermando in questa zona vengono costruiti resort per sceicchi arabi, alberghi, perfino campi da golf. Oltre che al disastro paesaggistico i cantieri si riempiono di cani perché sono zeppi di rifiuti lasciati da chi ci lavora che dormendo nelle tende durante la notte lascia rifiuti ovunque”.

Niccolini e altri educatori SIUA hanno preso a cuore la situazione di Taghazout da quattro anni fornendo aiuto all’associazione locale marocchina in merito alla sterilizzazione, alle vaccinazioni e alle cure, come ad un’educazione minima dei randagi. “Se conosci l’etologia dei cani nell’ambiente rendi la convivenza con la popolazione il più serena possibile”, sottolinea Niccolini. Un lavoro paziente e preciso che ha registrato anche i consigli di Andrea Cisternino, il fotografo che lottò contro la mattanza di cani in Ucraina, e che si dissolve nel sangue in una notte di aprile. “Ora andare avanti non è facile. Hanno ucciso anche Shonik il cane simbolo del nostro progetto e che si può vedere nella nostra pagina Facebook. Era rispettato da tutti, ed era stato adottato da un pescatore. Gli abitanti del villaggio lo adoravano e lo chiamavano “wasir”. Ci ha guidato nelle perlustrazioni ed era spesso nella piazza centrale. Sarà sicuramente stato il primo ad accogliere i suoi carnefici. La sua bontà e la sua fiducia verso l’uomo lo hanno condannato alla morte”.