Mafie

‘Ndrangheta, boss al 41 bis in permesso dalla madre condannata all’ergastolo ma non in pericolo di vita: ‘Rischio evasione’

Deve scontare 7 ergastoli, ma Domenico Gallico ha ottenuto dal tribunale di Sorveglianza di Sassari di tornare a Palmi e incontrare la madre a sua volta condannata al fine pena mai ma libera vista l'età avanzata e le varie patologie che l'affliggono. Nel referto del medico che ha visitato la donna, però, si esclude il rischio di morte imminente. E per la dda di Reggio Calabria il detenuto è estremamente pericoloso, avendo "dato prova di avere approfittato di ogni minimo spazio di libertà per commettere atti illeciti”

Sette ergastoli, decine di anni di carcere per associazione mafiosa, omicidi e riciclaggio. Dagli anni Novanta è detenuto al 41 bis perché ritenuto uno dei più sanguinari boss della ‘ndrangheta. Eppure Domenico Gallico ha ottenuto dal tribunale di Sorveglianza di Sassari un permesso per tornare a Palmi e incontrare la madre malata che non vede dal 2012. La donna, novantaduenne, è Lucia Giuseppa Morgante, condannata all’ergastolo per un omicidio che l’altro figlio, Giuseppe Gallico, le aveva ordinato durante un colloquio in carcere.

Nell’ottobre del 2017 la  Cassazione ha confermato la condanna al fine pena mai per la donna, ma la signora Morgante è libera avendo ottenuto un differimento dell’esecuzione della pena per motivi di salute. Incontrerà dunque il figlio nella sua Palmi, teatro della sanguinaria faida che ha visto protagonista proprio la cosca Gallico. L’incontro tra la Morgante e il figlio Domenico avverrà nella casa della madre sottoposta già sottoposta a confisca. Nello stesso palazzo, tra l’altro, abita anche il fratello del boss, Carmelo Gallico pure lui pluripregiudicato e sorvegliato speciale. Il permesso è stato concesso dai magistrati nonostante nel referto del medico che ha visitato la donna, pur dando atto delle non buone condizioni fisiche, si esclude il pericolo di vita per Lucia Giuseppa Morgante.

Nella decisione del magistrato di sorveglianza di Sassari si dà atto che gli investigatori hanno lanciato dell’allarme su un’eventuale concessione del permesso al boss. Riportando il contenuto di un’informativa del commissariato di Palmi, infatti, il magistrato scrive che “la madre di Gallico si è dichiarata disposta a ricevere il figlio per un eventuale permesso”. Permesso che gli investigatori sconsigliano di concedere “temendosi tra l’altro un possibile tentativo di evasione alla luce della caratura criminale del boss, capo dell’omonima ‘ndrina e responsabile di numerosi omicidi”.

Allarme che è rimasto inascoltato. Come quello della dda di Reggio Calabria che – scrive sempre il tribunale di Sorveglianza – “reputa l’eventuale permesso assolutamente rischioso trattandosi di detenuto estremamente pericoloso che ha dato prova di avere approfittato di ogni minimo spazio di libertà per commettere atti illeciti”. Da detenuto, infatti, Domenico Gallico è riuscito ad aggredire due magistrati. Il primo, molti anni fa, durante un’udienza quando si è lanciato contro il presidente del Tribunale. L’ultimo nel 2012 quando, nel corso di un interrogatorio, ha rotto il naso all’ex sostituto procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Musarò, e ha aggredito due agenti della polizia penitenziaria.

Tutti episodi che non hanno impedito ai magistrati di Sassari di accordare il permesso al boss per incontrare la madre Lucia Giuseppa Morgante. Per il giudice, infatti, viste le gravi condizioni cliniche della donna, che potrebbero precipitare da un momento all’altro, negare a Gallico il permesso renderebbe la carcerazione contraria al senso di umanità. Eppure, si tratta della stessa donna che, stando alla sentenza d’appello del processo “Cosa Mia”, ha avuto un ruolo nella faida di Palmi. Il 30 novembre 2006, infatti, al termine di un colloquio avvenuto nel carcere di Secondigliano con il figlio Giuseppe Gallico (fratello di Domenico) ha ricevuto l’ordine di “eliminare gli esponenti della cosca Bruzzise”. Tra questi c’era Antonio Surace, cognato del boss Carmelo Bruzzise. Uscita dal carcere la Morgante, all’epoca ottantenne, convocò gli uomini della cosca e comunicò l’ordine del figlio che doveva essere eseguito. Cinque giorni dopo, a Seminara, Antonio Surace è stato bloccato dai killer e ucciso con numerosi colpi di pistola mentre si trovava a bordo di un camion.

In pratica – è scritto nella sentenza d’appello  – “la Morgante rappresentava il canale di comunicazione diretta tra Gallico Giuseppe e la sua famiglia di origine”. Al momento, tra i magistrati calabresi la notizia dell’autorizzazione concessa a Domenico Gallico non viene commentata. Bocche cucite al sesto piano del Cedir dove, comunque, filtra il malumore per permesso accordato al boss di ‘ndrangheta. Sul caso, però, i pm calabresi non possono fare nulla. La procura competente, infatti, è quella di Sassari che difficilmente presenterà ricorso dopo che aver vistato la richiesta di permesso. Che in casi simili, come quello dell’ex governatore della Sicilia, Salvatore Cuffaro, non era stato accordato nonostante la caratura criminale dei detenuti fosse molto minore rispetto a quella di Gallico.

D’altra parte, però, il tribunale di sorveglianza di Sassari ha già dimostrato in passato come la pensa sul tema.  Da un paio d’anni, infatti, il capocosca di Rosarno, Salvatore Pesce (detenuto al 41 bis dopo una lunga latitanza) gode di un permesso speciale che gli consente di tornare in Calabria ogni due mesi quando, accompagnato da diversi agenti della polizia penitenziaria, va a trovare la figlia malata e i suoi cari. Proprio come, presto, farà anche Domenico Gallico.