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Benevento-Crotone 3-2, abbiamo battuto i pitagorici. Per questo la matematica non ci condanna

Quella tra il Benevento e il Crotone è un’antica rivalità calcistica che affonda le proprie radici nelle serie con le ultime lettere dell’alfabeto e che risale addirittura all’epoca greca quando Pitagora, inventore del modulo 4-4-2 con la maglia del Kroton, sfidò in una partita a pallone i primi Sanniti, preromani ma già giallorossi.

Da allora, nei secoli, le due squadre si sono ripetutamente incontrate in tutte le categorie storiografiche. Le fonti riportano come i calabresi abbiano sempre avuto la meglio, superando a più riprese l’ostilità dei campi di battaglia, i giavellotti e i play-off.

Nel De Architectura, Vitruvio, racconta come gli abitanti dell’odierno Sannio usassero ornare le abitazioni con festoni e ghirlande inneggianti alla propria squadra prima di ogni match coi pitagorici e di come, mestamente, dovessero poi smontare subito le decorazioni al termine del novantesimo.

Così è stato fino a ieri, ovvero fino alla Battaglia del Vigorito, momento in cui si è verificata la tanto attesa rivalsa calcistica del Benevento sul Crotone.

La storia della città ultima in classifica, già ricca di vicende e avvenimenti, si è corredata dunque di una nuova data da memorizzare, mentre il locus ha confermato la propria natura di campo da gioco. Quante battaglie a Benevento!

Pensateci: nel 275 a.C i Romani, nella Battaglia di Pirro, annientano il Re dell’Epiro e, per festeggiare, modificano il nome originario della città, Maleventum, in Beneventum; nel 321 a.C. i Sanniti prevalgono sui Romani nel celebre episodio delle Forche Caudine; il 26 febbraio 1266 Manfredi di Svevia è sconfitto da Carlo d’Angiò.

Il 18 febbraio 2018 la squadra di De Zerbi supera per 3 a 2 quella di Zenga.

Lo so: delle Guerre Sannitiche è Tito Livio a parlarvene e di Manfredi è Dante Alighieri. Della serie A è la sottoscritta, abbiate pazienza.

Ma immaginate chi scrive avvolta in un k-way due taglie più grandi, sotto la pioggia, al riparo nel settore distinti, parte inferiore, nella zona meno poetica ma più responsabile: nessuna visione aerea del campo, ma un tetto sulla testa e un accesso privilegiato al bibitaro e ai bagni. Immaginate la vostra inviata con la solita bustina di sementi nevrotici, in piedi, accanto a un pilone dello stadio, a sudare freddo e a non capire se si tratti dell’agitazione o dei primi decimi di febbre.

E pensate, per un momento, a cosa sia potuto accadere al Vigorito dopo il gol di Diabaté al 90° e cosa si sia verificato nei lunghissimi 4 minuti di recupero in cui, tra urla e strepiti, i “Quanto manca?” si alternavano velocissimi ai “Fischia! Fischia!”. E poi il boato al termine della partita.

Nessun segno di resa da parte della squadra e della tifoseria. Tutt’altro.

D’altra parte, la matematica non condanna ancora il Benevento e, questa volta, sono stati proprio i pitagorici a garantirlo.

Ps: La dodicesima edizione del Premio Stregone va al signore con la maschera da gladiatore che ha ispirato la lettura in chiave storica della partita.