Cronaca

Commissione inchiesta sull’uranio, il caso dei vaccini ai militari: “Manca analisi pre vaccinale e le linee guida sono disattese”

Diverse segnalazioni nei giorni successivi all'approvazione della relazione hanno sottolineato a Ilfattoquotidiano.it un altro aspetto affrontato dai commissari, quello relativo alla sorveglianza sanitaria e alla profilassi vaccinale sul personale dell’amministrazione della Difesa. Ecco le principali conclusioni condivise e approvate dai commissari

Il lavoro della Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito non si è limitato a scandagliare missioni all’estero e poligoni militari parlando di “negazionismo” dei vertici e di “criticità sconvolgenti”, conclusioni contestate dallo Stato Maggiore. Diverse segnalazioni nei giorni successivi all’approvazione della relazione hanno sottolineato a Ilfattoquotidiano.it un altro aspetto affrontato dai commissari, quello relativo alla sorveglianza sanitaria e alla profilassi vaccinale sul personale dell’amministrazione della Difesa.

Le raccomandazioni
Deputati e senatori hanno dedicato un capitolo di circa 40 pagine agli “Effetti delle modalità di somministrazione dei vaccini sui miliari”. La Commissione – spiegando che la scelta dei vaccini da somministrare ai militari e le modalità di somministrazione sono regolate con decreto ministeriale del 2003 e sottolineando che reazioni avverse differiscono tra adulti e bambini  – spiega che “l’adozione di pratiche come le vaccinazioni multiple compresse può rappresentare, di per sé, un rischio per la salute” perché “la quantità cumulativa dei vari componenti dei vaccini eccede il limite permesso per l’autorizzazione all’immissione in commercio del singolo vaccino”, “le ipersensibilità indicate nei dossier di registrazione e allegati tecnici ai vaccini anche solo singolarmente considerati confermano la necessità delle analisi pre vaccinali” e “le reazioni avverse indicate nei dossier di registrazione e allegati tecnici ai vaccini anche solo singolarmente considerati confermano la necessità di una valutazione dei rischi personalizzata sulla profilassi vaccinale e la necessità di un monitoraggio periodico a lungo termine su ogni singolo vaccinato”.

“Non a somministrazioni contemporanee”
E per questo, si legge, la Commissione “conferma ancora una volta le conclusioni già evidenziate dal progetto Signum” per quanto riguarda “la necessità di non somministrare contemporaneamente più di cinque vaccini monovalenti monodose sui militari”, perché questa modalità “appare, la più corretta per evitare l’insorgere di reazioni avverse”. Che in alcuni casi si erano verificate “con l’instaurarsi di patologie autoimmuni o neoplastiche sopravvenute, in una parte di popolazione militare non sottoposta a fattori di rischio diversi da quelli vaccinali”. Per questo viene raccomandata l’applicazione della nuova normativa e la “rigorosa verifica” che ciò accada, anche e soprattutto con “riferimento al personale militare da impegnare in missioni all’estero”. Anche perché dalle testimonianze, ricordano i commissari, “si sono tratti significativi elementi a conferma che non sempre sia stata richiesta, analizzata o comunque approfondita, da parte del medico vaccinatore l’analisi pre vaccinale del militare sottoposto”. Ed è inoltre emerso ” con preoccupante ricorrenza” che “alcuni medici vaccinatori non si attengono nel somministrare i vaccini alle norme di precauzione indicate dalle linee guida” imposte dopo il decreto ministeriale del 2003.

Le carenze/1, i dati dell’Aifa
I commissari sottolineano poi come per approfondire il proprio lavoro avessero richiesto all’Aifa una corposa documentazione nella primavera 2016 per “verificare se dalla profilassi vaccinale militare, potessero configurarsi pericoli per la salute”. La richiesta verteva attorno alle “specifiche tecniche, gli studi di sicurezza e la composizione dei vaccini, comprensivi degli elementi sotto soglia”. I dati sono giunti nel novembre 2017 e la “documentazione appare incompleta, sotto diversi aspetti”.

Le carenze/2, lo studio sull’impatto genotossico 
La Comissione ha proseguito anche la seconda fase del progetto Signum, che prevede l’osservazione longitudinale della coorte di militari in esame per almeno dieci anni, con controlli eseguiti a cadenza annuale, finalizzati a valutare l’esposizione a genotossici ambientali e l’eventuale presenza di marcatori di un danno a carico del Dna. Nell’ambito del progetto, sottolinea la relazione, “sono stati reclutati in tutte le Forze armate solo 981 militari“, due terzi dei quali dell’Esercito. “Alla luce di questi dati la Commissione ha dovuto riscontrare l’impossibilità di giungere a conclusione precise a causa della loro insufficienza”, si legge nella relazione anche perché “mancavano inoltre tutti i dati relativi ai soggetti congedati e i dati anagrafici dei militari della coorte di studio, nonché i dati sulle vaccinazioni multiple per ogni militare e i relativi effetti sul Dna per ogni singolo militare malato”.