Scienza

Nel sistema planetario gemello a quello solare i pianeti hanno acqua e potrebbero ospitare vita

I ricercatori, guidati da Amaury Triaud, hanno osservato che tutti i pianeti hanno fino al 5% della loro massa fatto d’acqua. Un dato significativo, se si considera che sulla Terra gli oceani rappresentano solo lo 0,02% della massa. Cinque dei sette pianeti inoltre sembrano essere privi di idrogeno ed elio nella loro atmosfera, proprio come Nettuno e Urano

Quando un anno fa fu dato l’annuncio della scoperta di un sistema planetario simile alla Terra gli scienziati esultarono. Perché l’idea di una nuova Terra non sarebbe stata più questione di se ma quando. Oggi arriva la notizia che i sette pianeti della stella Trappist-1 hanno acqua e potrebbero ospitare la vita.

Si fa più dettagliato il loro identikit grazie a quattro studi coordinati dall’università di Birmingham e pubblicati sulle riviste Nature Astronomy, Astronomy e Astrophysicsun anno fa. Le caratteristiche di questi pianeti ricordano quelle del nostro Sistema Solare e Trappist-1 e, il quarto dalla sua stella, potrebbe essere molto simile alla Terra.

I ricercatori, guidati da Amaury Triaud, hanno osservato che tutti i pianeti hanno fino al 5% della loro massa fatto d’acqua. Un dato significativo, se si considera che sulla Terra gli oceani rappresentano solo lo 0,02% della massa. Cinque dei sette pianeti inoltre sembrano essere privi di idrogeno ed elio nella loro atmosfera, proprio come Nettuno e Urano, mentre Trappiust-1e appare come il più simile alla Terra per dimensioni, densità e quantità di radiazioni che riceve dalla sua stella, anche se la sua atmosfera non è stata ancora studiata in dettaglio.

Uno speciale spicchio di spazio alla giusta distanza dalla stella madre. Né troppo vicino, né troppo lontano. Tale, cioè, da consentire l’eventuale presenza in superficie di oceani d’acqua, condizione fondamentale per incubare la vita. I mondi alieni orbitano intorno a una stella vicinissima, in termini astronomici, al Sistema solare. La scoperta è stata possibile grazie alle osservazioni congiunte effettuate da telescopi basati a terra – come il Trappist-South presso l’Osservatorio di La Silla, in Cile, e il Very Large Telescope al Paranal, entrambi dell’European southern observatory (Eso) -, e dallo spazio con il telescopio Spitzer della Nasa. Per scovare i nuovi mondi, gli astronomi hanno utilizzato la cosiddetta tecnica del transito, che permette di catturare ogni minima diminuzione della luce emessa da una stella a causa del passaggio di un pianeta che le orbita intorno. Transito che genera sulla stella piccole eclissi, come se sulla sua superficie il pianeta disegnasse un minuscolo neo.