Scienza

Dna, a Trento la “scoperta del secolo” per uccidere a scopo terapeutico quello malato

Si tratta di una tecnica di editing genomico proposta e sviluppata originariamente a Berkley e al Mit di Boston, ma che grazie ai nuovi studi del Centro di biologia integrata dell’Università di Trento, ha raggiunto l’affidabilità e la sicurezza necessarie nelle applicazioni cliniche in Italia

Si chiama evoCas9 ed è il nuovo metodo per modificare il Dna a scopo terapeutico scoperto dall’Università di Trento. Una tecnica di editing genomico proposta e sviluppata originariamente a Berkley e al Mit di Boston, ma che grazie ai nuovi studi del Cibio, il Centro di biologia integrata dell’Università di Trento, ha raggiunto l’affidabilità e la sicurezza necessarie nelle applicazioni cliniche in Italia. Una vera arma di precisione contro il Dna malato, che potrebbe avere effetti a breve termine per la terapia genica delle malattie. “In questo momento la nostra evoCas9 è la macchina molecolare migliore al mondo per il genome editing” annuncia Anna Cereseto, professoressa del Cibio e senior author dell’articolo che descrive lo studio sulla rivista Nature Biotechnology.

Il Cibio, insomma, sbaraglia così la concorrenza scientifica internazionale. “Il genome editing è davvero la scoperta del secolo in medicina, e non solo”, rimarca il direttore del Centro di biologia integrata dell’Università di Trento, Alessandro Quattrone. “Questa invenzione è certo a oggi il contributo più importante che abbiamo dato allo sviluppo di terapie. Mesi fa già il gruppo aveva proposto intelligenti miglioramenti al metodo. Si era parlato di ‘bisturi genomico usa e getta’. Ma con evoCas9 siamo davvero alla differenza fra un utile espediente e un game changer. Grazie a questo studio, che peraltro si integra perfettamente con il precedente, il genome editing può diventare adulto, e il nostro sforzo adesso è far sì che il ritrovato dia frutto, per quanto possibile, in Trentino” conclude il direttore. Data l’importanza dello studio, il Cibio ha già depositato il brevetto di evoCas9.

“Abbiamo messo a punto un metodo sperimentale di screening attraverso il quale otteniamo una molecola, che chiamiamo evoCas9, davvero precisa nel cambiare il Dna. È un enzima di affidabilità assoluta, che effettua il cambiamento soltanto nel punto stabilito” racconta Anna Cereseto. “La molecola da cui siamo partiti, Crispr/Cas9, sta cambiando la faccia della biomedicina. Si tratta di una ‘macchina molecolare’, fatta della proteina Cas9 e di una molecola di Rna, che raggiunge e taglia uno specifico segmento di Dna, permettendo di modificarne la sequenza” spiega la ricercatrice. “Il problema – sottolinea ancora Cereseto – è che questa molecola fa errori sistematici e quando applicata al tentativo di curare malattie non modifica solo il gene o i geni implicati nella patologia, ma agisce su altri siti del Dna causando effetti imprevedibili. Ciò la rende inaccettabile per la pratica clinica.”

Gli ambiti di applicazione del ‘correttore perfetto‘ evoCas9 non si limitano alle malattie genetiche e ai tumori, i primi e più ovvi bersagli, ma si estendono agli altri settori non medici in cui il genome editing è ormai essenziale: il miglioramento delle piante di interesse alimentare e degli animali da allevamento. Lo studio trentino ha generato, oltre alla pubblicazione, un brevetto già depositato. Ma come si è arrivati a questa molecola dal rischio di errore vicino allo zero? A detto di Cereseto, “evoCas9 è stata sviluppata sottoponendo Cas9 a una evoluzione darwiniana in provetta, da qui il nome evoCas9. Cas9 nasce nei batteri, dove la sua imprecisione è un vantaggio perché funziona come una sorta di sistema immunitario contro i Dna estranei che, tagliando qua e là, inattiva meglio il nemico. La nostra intuizione è stata di fare evolvere Cas9 in cellule non batteriche, i lieviti, che sebbene semplici sono molto più vicine a quelle umane. Qui l’abbiamo fatta diventare ciò che ci interessa sia: un cesello che intarsia solo dove deve, un’arma di precisione che colpisce in un punto e risparmia tutto il resto. Questo – conclude la ricercatrice – renderà il suo impiego nella clinica finalmente sicuro”.