Cronaca

Livorno, il comandante di un peschereccio getta in mare il senegalese che lavora in nero (e non sa nuotare): arrestato

Ai domiciliari il capitano del "Gionatan" dopo un'inchiesta di carabinieri e guardia costiera: dovrà rispondere di vari reati, tra i quali caporalato. Ha spinto il "marinaio" per paura di controlli di una motovedetta e l'africano si era salvato solo grazie a un bagnino. Secondo le indagini il proprietario della barca sottoponeva i lavoratori irregolari a turni massacranti e sottopagati

Ha visto avvicinarsi una motovedetta della Guardia Costiera e per paura di essere controllato ha spinto in mare un membro dell’equipaggio perché era un senegalese che lavorava in nero e pur sapendo che il giovane non sa nuotare. Per questo il comandante di un peschereccio della marineria di Livorno, Andrea Caroti, 46 anni, è stato arrestato dai carabinieri e dalla Capitaneria di porto della città toscana. La Procura gli contesta i reati di violenza privata, violenza o minaccia per costringere a commettere un reato e sfruttamento del lavoro, cioè il nuovo reato di caporalato perché in modo sistematico sulla sua barca, il Gionatan, lavoravano in modo irregolare cittadini di vari Paesi africani, sottoposti a turni massacranti, pagati con 10 euro per un intero turno con modeste quantità di pesce e oggetto di offese ripetute quando non eseguivano a dovere gli ordini.

L’inchiesta, chiamata “Catene” e coordinata dal pm Fiorenza Marrara, era iniziata da quello che sembrava un normale salvataggio in mare, avvenuto nel tardo pomeriggio dell’8 giugno 2016, al largo di Calambrone, una frazione balneare lungo la costa tra Livorno e Pisa. Il ragazzo senegalese fu salvato  a qualche centinaio di metri dalla costa da un bagnino e raccontò subito tutta la storia. Quando Caroti seppe che il suo ex marinaio era stato interrogato dalla Capitaneria di porto, lo minacciò per non fargli dire la verità.