Mafie

Mafia, si studia di più nelle Università del Nord. “Al Centro c’è minore percezione”

Lo studio della Conferenza dei rettori per la commissione parlamentare presieduta dalla Bindi. Su 57 atenei impegnati, il 42% della didattica sulla criminalità organizzata si svolge sopra il Po, record in Lombardia, il 36 al Sud, dove "vince" la Campania. Il boom degli ultimi cinque anni. Il presidente Manfredi: "I dati rispettano le diverse sensibilità dei territori". Numerose le discipline coinvolte, dal diritto all'economia

Le mafie sono considerate da decenni un’emergenza nazionale, eppure nel mondo universitario lo studio del tema è affidato prevalentemente alla sensibilità personale di un ristretto numero di docenti. Secondo una rilevazione effettuata dalla Crui, l’associazione dei rettori delle Università italiane, statali e non statali, presentata oggi in Commissione parlamentare antimafia, su 57 atenei attivi nel settore sono quelli del nord a presentare la maggiore offerta didattica (il 42 per cento) seguiti da quelli del sud Italia (36 per cento), mentre le più di 600 attività universitarie dedicate allo studio delle mafie, censite su tutto il territorio nazionale, assegnano un ruolo cruciale all’attivismo di un ristretto gruppo di professori ed esperti. Un attivismo che ha avuto un’impennata tra il 2011 e il 2016, quando sono sorti 19 nuovi centri di studio sul fenomeno, rispetto agli 11 preesistenti, il primo datato 1986.

“La cosa che più si nota è una certa influenza geografica” ha commentato il presidente Crui, Gaetano Manfredi “si registra una notevole presenza degli atenei del sud e soprattutto del nord, dove la consapevolezza del peso della criminalità organizzata è molto forte, mentre probabilmente nelle aree centrali si registra minore sensibilità perché c’è anche minore percezione dell’importanza del fenomeno. In genere un’Università si attiva in questi settori perché esiste una tradizione di ricerca in tal senso oppure perché esiste una forte sollecitazione dall’esterno. Se il territorio esprime una grande sensibilità, allora l’Università è stimolata ad intraprendere un’attività considerata ‘non tradizionale’”.

L’esperienza pilota, che ha raccolto i dati forniti volontariamente da 66 Università italiane (su un totale di 81 atenei) su attività formative, strutture dedicate ed eventi, mostra un maggiore interesse al tema da parte degli atenei più grandi e dislocati nelle regioni settentrionali. Nove di loro (Bologna, Messina, Milano Cattolica, Napoli Federico II, Pisa, Roma Luiss, Roma Sapienza, Roma Tor Vergata, Teramo) hanno proposto nella loro offerta formativa dell’ultimo anno corsi di formazione specialistica interamente focalizzati sull’argomento. Mentre altri 24 atenei hanno proposto insegnamenti diversificati (65 in tutto), che affrontano il tema mafia secondo diverse prospettive (storia della mafia, normativa e legislazione antimafia, sociologia e psicologia del fenomeno mafioso), inserendoli prevalentemente nei percorsi di laurea magistrale (37 insegnamenti) e triennale (24).

Ben 25 atenei annoverano osservatori, laboratori e centri studi e di ricerca che si occupano stabilmente di ambiti riconducibili al tema della legalità. Tra queste strutture stabili, 30 si occupano in modo specifico del fenomeno della criminalità organizzata. Si tratta in prevalenza di atenei di grandi dimensioni, dislocati in egual misura al nord e al sud, ad eccezione di Roma Luiss, unico ateneo con sede nel centro Italia che ospita più di una struttura. Le Università di Milano e Torino ne gestiscono il numero più alto (tre a testa), seguite dagli atenei di Bologna, Calabria, Milano Cattolica, Napoli Federico II, Reggio Calabria Mediterranea, Roma Luiss G. Carli e Salerno, ognuno dei quali gestisce due strutture di ricerca dedicate.

Ma in generale, la concentrazione più alta di laboratori e centri studi indirizzati al tema della legalità ha sede nel nord Italia. Le regioni che contano la maggiore presenza di strutture di ricerca stabili sono la Lombardia (6), la Campania (5), la Calabria (4) e il Lazio (4) seguite – con 3 strutture a testa – da Emilia Romagna e Piemonte.

Nell’anno accademico 2015/16, 53 atenei hanno organizzato in tutto 352 eventi e attività culturali per la promozione della cultura antimafia. Tra queste si contano iniziative più tradizionali, come convegni, seminari e cicli di conferenze, e progetti meno convenzionali come l’organizzazione di viaggi didattici, creazione di blog e stazioni radiofoniche ad hoc, mostre fotografiche, rappresentazioni teatrali, concorsi e altro. In questi ultimi casi, la maggior parte degli eventi sono stati organizzati dai dipartimenti universitari in collaborazione con altri enti e associazioni, anche quando (nella maggior parte dei casi) tali partnership non prevedevano alcuna forma di finanziamento.

Ma quali discipline studiano la mafia? Dei 61 corsi di laurea che prevedono insegnamenti sul tema delle mafie 18 appartengono all’area giuridica, 15 a quella economica, 15 alle scienze politiche e, infine, 13 a psicologia, scienze pedagogiche e antropologiche. Segno che il tema è in parte sdoganato dall’ambito meramente giuridico, e viene affrontato anche come tema politico, sociale, economico e culturale.

La rilevazione effettuata dalla Crui sugli atenei italiani si iscrive in una convenzione stipulata nell’ottobre del 2015 con la Commissione parlamentare antimafia e finalizzata espressamente al maggior coinvolgimento delle Università, che fino ad oggi hanno segnato il passo, nello studio del fenomeno mafioso e nella elaborazione di nuovi strumenti normativi. Un modo, ha ricordato il rettore Manfredi, per “portare il tema dell’antimafia e del contrasto ai poteri mafiosi molto al di fuori degli ambiti tradizionali, confinati per comodità professionale o pigrizia intellettuale nel recinto della sola attività repressiva della magistratura e delle forze di polizia”. “Nella nostra relazione finale ci sarà una parte di consegne per il futuro” ha dichiarato la presidente Bindi a conclusione della seduta “perché il nostro obiettivo è che questo tema – così importante per la vita del nostro paese – non sia affidato alla buona volontà di qualche rettore, di qualche professore o dei nomi che ritornano in tutti i seminari, ma diventi un elemento strutturale nella formazione di base e specialistica delle università italiane”.