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Sicilia, Genovese jr fa lo spot sull’uso dei fondi Ue. Il padre con quei soldi creò clientele: condannato in primo grado

Il giovane candidato alle elezioni regionali spiega sul web come utilizzerebbe il denaro proveniente Unione europea. Il padre Francantonio è stato giudicato colpevole - e condannato a 11 anni di carcere dal tribunale- perché con enti controllati da lui e dai suoi familiari ha truffato truffato la Regione per una cifra vicina ai 20milioni di euro. Soldi che provenivano in parte anche da Bruxelles . L'europarlamentare Corrao (M5s): "Non ha neanche il pudore di tacere"

I fondi strutturali? “Sono uno dei principali strumenti della politica regionale europea”. La Sicilia? “È paralizzata: allo stato attuale abbiamo una capacità d’intercettare fondi prossima allo zero. Serve un’inversione di rotta”. Quindi? “Mi farò promotore dell’istituzione di un ufficio unico che si occuperà esclusivamente di fondi europei”. Sembra uno normalissimo spot di uno qualunque dei candidati alle elezioni regionali siciliane del prossimo 5 novembre. E in effetti è un normalissimo spot di un aspirante consigliere regionale siciliano. Solo che quel consigliere si chiama Luigi Genovese ed è il giovane figlio di Francantonio, l’ex deputato del Pd ora nei ranghi di Forza Italia, condannato a undici anni in primo grado per associazione per delinquere, truffa, riciclaggio, frode fiscale, peculato. Il motivo? Con enti controllati da lui e dai suoi familiari, Genovese è accusato di aver truffato la Regione siciliana per una cifra vicina ai venti milioni di euro. Soldi che provenivano in parte anche da Bruxelles e che adesso Genovese junior si candida a rilanciare.

È per questo motivo che lo spot del giovane candidato di Forza Italia – che sostiene l’aspirante governatore Nello Musumeci – ha destato scalpore. “I fondi europei che Genovese dice di voler sbloccare e intercettare sono stati usati senza scrupoli dalla sua famiglia per creare consenso elettorale. Ecco caro Luigi dove sono andati a finire: non hai neanche il pudore di tacere davanti ai disastri fatti dalla tua famiglia a danno della Sicilia”, commenta Ignazio Corrao, europarlamentare del Movimento 5 Stelle. “A guardare lo spot sorge subito spontanea una risata, amara, ma un attimo dopo, però, il pensiero si incupisce e sorge un dubbio, per noi più che legittimo: non sarà mica un messaggio lanciato all’enorme bacino elettorale del padre? Sapete come è stato ribattezzato? Mister 20mila preferenze“, è il commento del M5s Sicilia pubblicato sul blog di Beppe Grillo. Un post che rilancia una richiesta al direttore generale dell’Osce: “Ora più che mai il ricorso a uno stretto controllo della regolarità del voto in Sicilia è una priorità”.

Il diretto interessato, però, glissa. Non risponde ai vari commenti ironici comparsi sotto allo spot pubblicato su facebook e all’edizione palermitana di Repubblica dice: “Io ho tutto il diritto di parlare di fondi europei anche se, a onor del vero, quando parlo di spreco e di mancato utilizzo, mi riferisco ai fondi per le infrastrutture. Quelli per la formazione sono stati tutti spesi e bene”. Non la pensano evidentemente come lui i giudici del tribunale di Messina.  Già il nome dell’inchiesta che ha portato alla condanna di suo padre, in effetti, era evocativo: si chiamava Corsi d’oro, proprio perché scandagliava il delicatissimo settore della formazione professionale in Sicilia.

Un settore che ha vissuto negli anni di milioni di fondi europei. Sarebbero serviti per formare i giovani ed aiutarli a trovare un lavoro: per i giudici, invece, erano gestiti dai Genovese. E infatti oltre al padre dell’attuale candidato all’Ars i magistrati peloritani hanno condannato anche la madre Chiara e gli zii Elena e Franco Rinaldi, che è un consigliere regionale uscente. Pesantissima la requisitoria del procuratore aggiunto Sebastiano Ardita che aveva  sottolineato la “gravità dei reati, sia per le responsabilità pubbliche di chi li commette, sia perché sottraggono importate risorse in un settore strategico e vitale come la formazione professionale, con tanti giovani in cerca di lavoro”, creando “effetti sociali e danni immaginabili in una Sicilia martoriata dal disagio, dalla disoccupazione e dalla alternative illecite al lavoro negato”.

L’accusa del pm si basava su dettagliate indagini della guardia di finanza, riassunte in un’informativa che parlava “un complesso ed articolato sistema politico-affaristico, facente capo a Genovese, in grado di lottizzare le più importanti funzioni di un dipartimento regionale di importanza strategica enorme, poiché attraverso il controllo della formazione professionale è possibile piegare la necessità sociale di mantenere e garantire imponenti livelli occupazionali agli scopi elettoralistici per formare enormi sequele clientelari mediante l’impiego di finanziamenti regionali ed europei”. Quegli stessi finanziamenti europei che adesso l’ultimo rampollo di casa Genovese si candida a rilanciare con un ufficio apposito in caso di elezione all’Assemblea regionale siciliana. Ufficio che per la verità esiste già.