Diritti

Lombardia, i medici bocciano la riforma dei cronici. Privati già ringraziano: 37 strutture candidate alle cure e 9 ospedali

Non piace ai camici bianchi la riforma che trasforma il medico in "gestore" e l'ospedale in "erogatore di cure". A Milano città solo il 24% aderisce al nuovo modello. Numeri molto lontani da quelli auspicati da Maroni che evoca il referendum per garanti autonomia sanitaria. Confermati i timori di chi ventilava un favore alle cliniche

Milano dice no alla riforma dei cronici targata Roberto Maroni, la sua Lombardia dice “ni”, con meno di un medico su due. E il flop numerico ha già un risvolto politico: il governatore risponde alla bocciatura evocando il referendum e una sanità sempre più autonoma. Che però già vede ai nastri di partenza, nei panni dei candidati “erogatori”, un numero di strutture private quattro volte superiore alle pubbliche, a conferma del rischio che le regole nuove per la presa in carico di 3 milioni di malati servano si risolvano in un lucroso business in loro favore.

Sabato scorso, a mezzanotte, è scaduto il termine per le adesioni dei medici di base al nuovo modello di presa in carico cui guarda il Ministero della Salute per possibili estensioni ad altre regioni: il paziente che si affida a un “gestore” che è un medico privato o pubblico, singolo o in cooperativa che stila un “piano di assistenza individuale” e tramite convenzione con un erogatore (ospedale pubblico o privato) prenota visite ed esami necessari al percorso di cura. Questa formula non piace a molti camici bianchi. I risultati dell’adesione volontaria, infatti, sono parecchio al di sotto delle aspettative e dagli auspici di Regione Lombardia che pure aveva dato una proroga di due mesi nella speranza di un ravvedimento: su 5.367 medici di medicina generale hanno risposto all’appello in 2.575, il 48%. Più nel dettaglio 2.292 hanno optato per aderire come cooperativa e 281 come singoli.

A Milano meno di uno su quattro dice sì
Sotto la Madonnina la riforma non convince affatto. A Milano come a Pavia le adesioni  si sono fermate al 32% su scala metropolitana, che scendono al 24% nella sola Milano, dove i cronici sono 420 mila e su 884 medici di famiglia solo 50 si sono candidati in proprio come gestori dei pazienti, altri 168 in cooperativa secondo le nuove norme della Sanità. In tutto 218 medici hanno detto “si”, meno di uno su quattro. Numeri assai diversi rispetto ad altre zone della Lombardia come l’Ast Bergamo (57%) o Brianza (72%). E certo problematici per chi ha scommesso tanto sull’innovazione. Il prossimo esame è a novembre, quando saranno i pazienti a dover dire la loro sulla scelta di aderire o meno. Mentre i numeri delle strutture di cura che saranno in prima linea nell’accogliere i pazienti secondo le nuove linee guida della Regione forniscono altro materiale ai detrattori convinti che la riforma favorisca il privato a danno del pubblico: si sono candidate 9 strutture pubbliche contro 37 private.

E tuttavia Maroni tira dritto, nega il flop e parla di numeri che risentono della resistenza naturale al cambiamento. E guardando ai prossimi step tira in ballo il referendum. “Una delle materie di competenza concorrente è la Tutela della salute – ha proseguito – e, dopo il referendum, chiederemo la competenza esclusiva, per avere più risorse. La nostra ambizione è di disegnare qui un modello di sanita’ cosi’ efficiente e meno costoso rispetto alla media, da consentire a tutte le Regioni non di spendere meno, ma di spendere meglio, riuscendo, come abbiamo fatto noi, a investire nella sanità: un mezzo miracolo. L’opposizione però attacca: “La riforma continua a non piacere ai medici di medicina generale che l’hanno bocciata”, dice il consigliere regionale del Pd Carlo Borghetti.

Più duro ancora Vittorio Agnoletto di Medicina democratica: “I medici hanno difeso la loro professionalità e il servizio sanitario. A novembre tocca ai cittadini dare il colpo finale rigettando l’offerta di finire nelle mani di un “gestore”. Il risultato sarà che molti malati cronici, soprattutto nella città di Milano, andranno avanti a farsi curare in ospedale. I numeri delle strutture candidate come erogatori confermano poi il sospetto che tutta l’operazione si risolva in un favore alle strutture private. Maroni ha detto che bisogna votare al referendum perché la prima cosa che la Regione chiederà di essere autonoma dal servizio sanitario nazionale, significa che se la Regione non avesse avuto il vincolo che la sanità dipende ancora da una legge nazionale avrebbe di colpo abolito i medici di medicina generale per trasformarli tutti in gestore”.