Mafie

Camorra, Michele Zagaria comanda ancora (dal carcere). Il giudice: “Può influenzare le elezioni comunali del 2018”

Il controllo del clan dei casalesi nel territorio di Trentola Ducenta è ancora penetrante e il rischio che possa influenzare le amministrative del 2018 è molto elevato”, scrive il Gip di Napoli Federica Colucci alla fine dell'ordinanza con la quale ha ordinato l'arresto dell’imprenditore Nicola Russo

Il passaggio chiave si legge alla fine dell’ordinanza: “Il controllo del clan di Michele Zagaria nel territorio di Trentola Ducenta (Caserta) è ancora penetrante e il rischio che possa influenzare le elezioni amministrative del 2018 è molto elevato”. Per questo, sostiene il Gip di Napoli Federica Colucci, l’imprenditore Nicola Russo deve andare in carcere: è uno dei professionisti “a disposizione” del boss attraverso i quali il clan dei Casalesi “può riprendere il controllo sul Comune”, arrestato il 27 settembre scorso.

Trentola Ducenta commissariata
Trentola Ducenta è commissariata e il voto è in calendario per la primavera del 2018. Il sindaco Michele Griffo dovette farsi da parte dopo essere stato arrestato nel dicembre 2015 nell’ambito dell’inchiesta Jambo. È il nome del gigantesco centro commerciale realizzato, secondo l’inchiesta della Dda partenopea – pm Catello Maresca, procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli – grazie a un “forte e duraturo legame tra camorristi, politici e imprenditori”.

Russo analista dei boss
Russo è stato arrestato nei giorni scorsi con accuse di associazione camorristica. È uno degli imprenditori che strinsero il patto. Commerciante di ortofrutta e poi titolare di un centro di analisi, fu indagato in Jumbo e da allora una sequela di pentiti, a cominciare da Antonio Iovine, hanno aggiunto alcuni dettagli importanti sui suoi legami col boss. Avrebbe trasportato “valige piene di soldi” per conto di Zagaria e avrebbe intermediato tra il clan e Alessandro Falco, il patron del centro commerciale sequestrato. Zagaria e Iovine si sarebbero curati da lui durante la latitanza. Russo avrebbe seguito attraverso amici comuni la fase del prelievo e del trasporto dei campioni di sangue per mantenere l’anonimato dei referti. E avrebbe fornito a Zagaria documenti d’identità fasulli e ospitalità per proteggerne la latitanza. Iovine a verbale lo identifica nel “Nicolino” che nel 2001 venne a prendere Zagaria in Francia, a Lione, durante un periodo di vacanza. “Ricordo che il luogo prestabilito era un ristorante di Lione, molto lussuoso, nel quale mangiammo tutti insieme, io, Zagaria e Nicolino”.

Zagaria e il giallo della pen drive
Intanto prosegue a tappe forzate il processo Medea che vede imputati l’ex senatore dell’Udeur Tommaso Barbato (in qualità di ex dirigente del settore acquedotti della Regione Campania) e i protagonisti della presunta spartizione degli appalti del servizio idrico campano per favorire imprenditori del clan Zagaria. Il Tribunale di Napoli nord ha disposto un fitto calendario di udienze per arrivare a sentenza entro i primi mesi del 2018. Il pm Maurizio Giordano ha depositato nuovi verbali di collaboratori di giustizia, che rielaborano una storia finita tra le maglie di quest’inchiesta: quella della pen drive a forma di cuore in possesso di Zagaria, che poi sarebbe ‘scomparsa’ durante la cattura del boss e la perquisizione del covo-bunker di Casapesenna, il 7 dicembre 2011.

Il poliziotto sotto inchiesta e il depistaggio
Un poliziotto, Oscar Vesevo, è indagato con l’accusa di aver intascato 50.000 euro dalla vendita della chiavetta a un imprenditore ritenuto vicino al clan Zagaria, Orlando Fontana. Cosa contenesse quella pen drive, e se sia esistita davvero, è un mistero. Un rapporto dei Ros ha ipotizzato che Zagaria vi conservasse la contabilità delle tangenti. Il pentito Salvatore Orabona afferma invece che in quella chiavetta il boss ha messo in fila i nomi dei politici e degli imprenditori collusi e che finì “nelle mani di Filippo Capaldo, nipote di Zagaria”. In mano ai giudici adesso c’è un verbale di Orabona del 24 ottobre 2016. Il collaboratore di giustizia racconta alcuni episodi che messi insieme dipingono un tentativo di depistaggio da parte del clan. “Ero in cella con Antonio Zagaria (fratello di Michele, ndr) e Carlo Bianco e li ho ascoltati mentre parlavano dell’esistenza di questa pen drive a forma di cuore e del fatto che doveva essere restituita al clan perché c’era il nome di molti imprenditori di Michele Zagaria”. Era il 2014 e quella chiavetta “non era ancora pervenuta a Capaldo”. Nel luglio 2015 gli arresti di Medea fanno uscire la notizia della pen drive del boss e dei segreti che vi erano custoditi, e Orabona dice di aver ascoltato questa macchinazione: “Antonio Zagaria disse a Carlo Bianco che, non appena sarebbe stato scarcerato, visto che mancavano pochi giorni, doveva prendersi l’incarico di reperire una pennetta Usb a forma di cuore che avrebbe dovuto poi far trovare alla Polizia in modo da porre fine a quelle notizie. Antonio Zagaria disse a Carlo Bianco che avrebbe dovuto dare questa pennetta Usb a forma di cuore alla moglie di Vincenzo Inquieto (Zagaria fu catturato nel bunker di villa Inquieto a Casapesenna, ndr), caricando su tale pennetta dei contenuti per bambini, ossia che si trattava di una pennetta appartenuta alla figlia di Vincenzo Inquieto e non a Michele Zagaria. In questo modo, tutta la vicenda si sarebbe definitivamente risolta”. Le cose andarono davvero così? Orabona aggiunge di essere tornato sull’argomento con Bianco qualche mese dopo. “Gli chiesi se avesse fatto quel ‘servizio’, mi confermò che era ‘tutto a posto’ e non aggiunse altro”. Significava, secondo il pentito, che aveva portato a termine la missione.