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Referendum Lombardia, il Pd si divide. Segretario: “Voto evitabile e costoso”. Ma Sala: “Confermo il mio sì”

"Si potevano evitare sia la consultazione che i 50 milioni spesi. Lo dimostra l'Emilia-Romagna che sta trattando direttamente con il governo", spiega Alessandro Alfieri. Ma Sala e Gori sono tra i principali sostenitori del sì

In teoria verrà lasciata libertà di coscienza sul voto del 22 ottobre. Nella pratica, tutti i suoi amministratori più importanti andranno a votare sì. Ma almeno ufficialmente, per il Partito Democratico lombardo il referendum sull’autonomia della Lombardia voluto dalla giunta leghista di Roberto Maroni è “evitabile“. A dirlo è il segretario regionale dem Alessandro Alfieri, all’indomani della riunione della segreteria del partito.

“È un referendum costoso e che si poteva evitare. Lo dimostra il presidente della regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, che sta trattando direttamente con il governo”, spiega Alfieri a ilfattoquotidiano.it. Bonaccini (Pd) sta dialogando con Roma per ottenere più autonomia per la sua regione in materia di lavoro, sanità, welfare, istruzione e ambiente. Ma senza passare per il referendum consultivo e senza spendere i 50 milioni che la Lombardia sborserà tra campagne di comunicazione, tablet per il voto elettronico (24 milioni per 23mila dispositivi) e rimborsi ai comuni.

“Noi siamo sempre stati per il federalismo differenziato. Già nel 2007 aprimmo le trattative con Roma insieme alla giunta Formigoni, poi il governo Berlusconi-Maroni le bloccò nel 2008″, continua Alfieri. “Il giudizio negativo non è sull’autonomia, a cui noi siamo favorevoli, ma sullo strumento della consultazione”. Peccato che lo scorso luglio i sindaci Pd dei capoluoghi lombardi – fatta eccezione per il sindaco di Pavia Massimo Depaoli – abbiano costituito un “comitato per il sì al referendum”. In prima fila Giorgio Gori, sindaco di Bergamo e candidato (semi-ufficiale) del Pd alle elezioni regionali 2018. Dietro, appunto, i primi cittadini di Milano, Brescia, Varese, Lecco, Mantova, Cremona e Sondrio, tutti pronti a sostenere la consultazione del 22 ottobre perché “l’autonomia e i benefici per la crescita e il lavoro per tutti non possono essere strumentalizzati da una parte politica che ha isolato fino ad ora la Lombardia”.

“I sindaci parlano a un elettorato molto vasto, non è un compito semplice. Sostenendo il federalismo, hanno deciso di fondare questo comitato. Ma noi, per coerenza, non potevamo sostenere la consultazione”, continua il segretario Pd della Lombardia. Già nel febbraio 2015, al momento di votare in consiglio regionale la deliberazione della giunta Maroni che prevedeva l’indizione del referendum consultivo, i dem si erano espressi in senso contrario (insieme a Patto Civico), fatta eccezione per il consigliere Corrado Tomasi. Favorevoli già allora, come oggi, Lega Nord, Forza Italia, Ncd, Fratelli d’Italia, M5S. Nei due anni che sono trascorsi da allora, i sindaci dem hanno cambiato idea sul tema. Per forza di cose, dunque, nella riunione dell’11 settembre il Pd lombardo ha deciso che sul referendum lascerà libertà di coscienza. “Ma io non andrò a votare”, sottolinea Alfieri, mentre il sindaco di Milano Giuseppe Sala conferma il proprio sì: “È giusto dare libertà di voto sui referendum, non trovo anomala la cosa. Ribadisco la necessità di utilizzare queste ultime settimane per spiegare esattamente che cosa succederebbe in caso di vittoria del sì”, ha commentato.

“Qualsiasi sarà l’esito della consultazione, noi andremo avanti a sostenere il federalismo e a combattere le bufale di Maroni, che continua a dire che il referendum riguarderà anche residuo fiscale e statuto speciale, entrambe falsità, e il tema della sicurezza, che invece è e rimarrà una materia di competenza esclusiva dello Stato”, continua Alfieri. “Queste cose non ci sono nel quesito. Come ha detto il nostro segretario Matteo Renzi, noi solitamente ci occupiamo delle cose serie e il voto di Veneto e Lombardia non rientra in questa categoria”.