Giustizia & Impunità

Caporalato, 12 persone condannate a Lecce: “Migranti ridotti in schiavitù”. Dalle loro rivolte è nata la nuova legge

Ritenuti colpevoli imprenditori italiani e caporali stranieri: pene tra 3 e 11 anni di reclusione. L'indagine sugli schiavi delle angurie in provincia di Lecce nacque dalle proteste dei braccianti africani nella baraccopoli di Masseria Boncuri a Nardò. Era l'estate 2011. Da quella rivolta ha preso il via l'iter per la nuova legge sul caporalato, approvata nel 2016

Sfruttavano e ridussero in schiavitù centinaia di migranti del Ghetto di Nardò, in provincia di Lecce, impegnati nella raccolta di angurie nelle campagne salentine, poi finite nei grandi centri commerciali della Lombardia e dell’Emilia Romagna. Per questo la Corte d’Assise del capoluogo pugliese ha condannato 12 persone a pene comprese tra i 3 e gli 11 anni di reclusione, riconoscendo anche l’associazione a delinquere. Sono stati ritenuti colpevoli Pantaleo Latino, il referente dell’organizzazione secondo i giudici, Marcello Corvo, Livio Mandolfo e Giovanni Petrelli.

Condannato anche un gruppo di tunisini e un algerino, oltre a Saber Ben Mahmoud Jelassi detto Sabr, che diede il nome all’indagine condotta nel 2011 dal sostituto procuratore Elsa Valeria Mignone con l’ausilio del Ros dei carabinieri. L’inchiesta – che portò all’arresto di impenditori, capo squadra e caporali di nazionalità straniera – partì dopo la rivolta dei braccianti stranieri che occupavano masseria Boncuri, trasformata in una baraccopoli nelle campagne attorno a Nardò.

Le proteste vennero organizzate dal giovane ingegnere camerunense Yvan Sagnet, che è stato tra i testimoni più importanti nel processo contro i suoi aguzzini e oggi presiede l’associazione No Cap. Le condizioni di vita e di lavoro dei migranti nelle campagne salentine, i loro scioperi e la forza con cui Sagnet si è battuto anche negli anni successivi fecero partire l’iter legislativo che ha portato alla nascita della nuova legge sul caporalato, approvata dal Parlamento nel 2016 e tesa a scardinare l’annoso problema colpendo anche i proprietari delle aziende agricole che impiegano braccianti sfruttati. 

“Ora quelli te li sfianco fino a questa sera…”, si ascoltava in una delle intercettazioni disposte dagli investigatori. Secondo quanto ricostruito dalla procura, da un lato c’erano gli imprenditori italiani che pretendevano condizioni di lavoro disumane, dall’altro centinaia di disperati africani ‘reclutati’ al loro arrivo in Sicilia. Di mezzo, un sistema gerarchico oleato, fatto di ‘capi cellula’ e ‘capi squadra’, quasi sempre, anche loro, extracomunitari. L’operazione Sabr portò a 16 arresti in dieci province del Mezzogiorno.

Venne decapitato l’intero apparato di caporali che da anni, secondo gli inquirenti, gestiva la raccolta delle angurie a Nardò, il secondo centro più grande della provincia salentina. Una “organizzazione criminale transazionale, costituita da italiani, algerini, tunisini e sudanesi, attiva anche a Rosarno e in altre parti del Sud Italia”, scrisse il di Lecce Carlo Cazzella.