Società

Invecchiare bene si può / II – Ce lo insegna Carla, una maestra nell’affrontare il limite

Un mesetto fa ci siamo lasciati con un post dal titolo Invecchiare bene si può: una riflessione intorno ai temi della finitezza e della consunzione. Il contributo era a firma di Gianni Ghidini, che da anni lavora a stretto contatto con gli anziani. Gianni torna ad approfondire il primo dei cinque elementi con cui aveva chiuso la riflessione più generale: l’erosione.  

di Gianni Ghidini*

L’invecchiamento è la realtà con la quale ogni essere umano si confronta. È il grande limite. Si cerca di capirlo, spostarlo, procrastinarlo, camuffarlo, ma il ticchettio dell’orologio è lì a indicarci che il tempo scorre. L’invecchiamento si presenta con modalità simili all’erosione: toglie, altera, aggiunge, sposta, rallenta, modifica e tutto questo avviene il più delle volte silenziosamente. Senza troppo clamore ci propone delle novità, non sempre gradite, anzi. Ma è così. Dobbiamo essere pronti. E allora occorre avere una tavolozza ricca di bellezza per colorare i nuovi scenari che si creano. In questo, Carla è stata maestra.

Carla è stata tra le mie allieve dei corsi ginnastica per 25 anni. Ogni giovedì, in palestra, ha raccontato brevemente come e dove si era svolta la sua gita del mercoledì. Amava camminare con un gruppo di amici legati al club alpino italiano e il mercoledì era il loro giorno di uscita. Non il sabato o la domenica, giorni di confusione e traffico anche sui sentieri di montagna, ma il mercoledì, in mezzo alla settimana. Alla lezione del giovedì c’era una sorta di rituale. Carla, con il suo ben sorriso in evidenza, raccontava le sue imprese prima dell’inizio della lezione: “Siamo andati al monte, 700 metri di dislivello, sei ore di cammino”. Poi, qualche anno dopo: “Siamo andati al monte, 500 metri di dislivello”. Dopo alcune stagioni – attraverso i suoi racconti – abbiamo camminato sulle colline e più di recente avevamo fatto anche una bella passeggiata lungo il Danubio. Tutta in piano. Poi abbiamo camminato vicino Milano, Carla era diventata amica della Valle dell’Adda.

Nel corso degli anni, Carla ha chirurgicamente spostato l’obiettivo con sapienza, adattandolo alla usa età e alla sua condizione di salute. La cosa speciale è che ha mantenuto intatto l’entusiasmo per ciò che aveva visto e vissuto, raccontandone la bellezza. Anzi, sembrava che la sua allegria e la ricchezza dei nuovi elementi osservati, che restituiva al gruppo, spostassero l’asse dalla prestazione alla contemplazione. Al suo racconto, Carla amava aggiungere un’osservazione relativa al guadagno che i suoi sensi, soprattutto occhi, olfatto e odorato, avevano ricevuto da questo suo “camminare lento“. Capitava spesso che durante i suoi racconti Carla menzionasse la Elda, un’altra grande camminatrice ipovedente. Ricordo – perché ero presente anch’io – Elda durante una vacanza all’Isola d’Elba sul monte Capanne fatta col gruppo di ginnastica, una vacanza diventata celebre.

Elda riusciva a riconoscere i diversi tipi di fiori dal profumo che emanavano. Il suo passo incerto, sicuramente lentissimo per via della vista compromessa, le lasciava un tempo che lei riempiva con una sua interpretazione, portato a poesia per tutti noi che ascoltavamo. Quando Carla condivideva questi ricordi col suo gruppo di ginnastica che incontrava due volte alla settimana e con cui lavorava per mantenersi in forma, era alla soglia dei 90 anni. Io dico che ci vuole un’arte in tutto questo. Accettare le tinte malinconiche del tempo che scorre, trovare motivazione e obiettivi che, per forza di cose, sono nuovi, del tutto o almeno in parte.

Ci vuole soprattutto flessibilità, parola che preferisco ad adattabilità. Questo termine entra a pieno diritto nel vocabolario del kit di sopravvivenza positiva che ognuno di noi è portato a costruirsi. E Carla è diventata negli anni grande maestra di questa  mutazione della ricerca del bello. Mi sono immaginato la partita che ognuno di noi, prima o poi, giocherà tra il suo “ancora” e il suo “ormai”. Ormai mette in campo pessimismo, distruttività, debolezza, medicalizzazione estrema del corpo, rinuncia, negatività, sfiducia, isolamento, estrema amarezza, per non essere più quelli di prima. Ancora, invece, per prima cosa rimanda alla saggezza vitale. Vale a dire a quella capacità di utilizzare l’esperienza accumulata negli anni per riprogettare continuamente i propri passi, cercando comunque il bello.

La sfida è spostare lo sguardo da ciò che ormai non è più, verso ciò che ancora potrebbe essere ma non con quella modalità “giovanilistica” che a tratti potrebbe apparire anche patetica. Occorre avere la consapevolezza che la vita ha in serbo delle promesse che vanno svelate.

Concludendo, mi piace condividere con voi una mia personale riflessione sulla celebre poesia di Salvatore Quasimodo:

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole
ed è subito sera.

La mia scelta di soffermarmi sul raggio di sole. Non si vive senza sole, il sole ci colpisce solo se stiamo all’aperto, solo se non ci nascondiamo in cantina. Il raggio non ci aspetta, il raggio è come una lancia che penetrando in noi ci dà l’equilibrio che serve per compensare la velocità del sopraggiungere della sera. Credo serva ancora qualche domanda prima di completare questa esortazione alla vita.

Possiamo essere raggi di sole per coloro che stanno accanto a noi? Saremo contenti se il sole illuminerà noi e non tutti gli altri? Il raggio di sole esiste ancora al raggiungimento di una “certa” età? Ci saranno dati dei limiti da rispettare, ma entro questi vincoli potremo ancora volare.

* responsabile de Le case del tempo e socio della cooperativa Comin