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Usa, Trump avverte la Cina: “Agiremo da soli se Pechino non farà pressione su Pyongyang”

In una intervista al Financial Times l’inquilino della Casa Bianca manda un messaggio chiaro a pochi giorni dalla visita del presidente Xi Jinping negli Stati Uniti. Da indiscrezioni si sa che tutte le opzioni sono sulla scrivania dello Studio Ovale, compresa quella estrema dei raid aerei. Alla domanda se ritiene che Washington possa gestire da sola la crisi con Pyongyang, il presidente ha risposto così: "Totalmente"

Donald Trump avverte la Cina a pochi giorni dalla visita del presidente Xi Jinping negli Stati Uniti. Se Pechino non aumenterà le proprie pressioni sul regime della Corea del Nord, gli Stati Uniti agiranno da soli, ha detto in un’intervista al Financial Times l’inquilino della Casa Bianca. Gli Usa “dovranno agire unilateralmente se la Cina non farà pressione su Pyongyang” per “eliminare la minaccia nucleare”. Il presidente cinese vuole evitare uno scontro sui dazi con gli Usa che porterebbe inevitabilmente a una guerra commerciale tra le due principali potenze mondiali. Con conseguenze imprevedibili per l’intero pianeta. Un obiettivo ambizioso dopo l’inizio tempestoso dei rapporti tra Pechino e la nuova amministrazione statunitense e dopo queste ultime dichiarazioni del tycoon.

Da indiscrezioni si sa che tutte le opzioni sono sulla scrivania dello Studio Ovale, compresa quella estrema dei raid aerei. Alla domanda se ritiene che Washington possa gestire da sola la crisi con Pyongyang, il presidente ha risposto così: “Totalmente”. Trump non è entrato nei dettagli, ma una escalation potrebbe cominciare con le sanzioni secondarie verso chi aiuta Kim Jong-un e includere anche azioni segrete di sabotaggio digitale o sul terreno, e appunto attacchi preventivi, vista la maggior latitudine che il Pentagono sta ottenendo su tutti i fronti. Del resto la costa occidentale Usa si sente minacciata, e lo stesso Barack Obama prima del passaggio di consegne ha avvertito Trump su come Pyongyang sia al momento il pericolo numero uno per la sicurezza nazionale.

Tra i due leader che si incontreranno a giorni, comunque, chi ha le idee più chiare sembra al momento Xi, che arriverebbe a Palm Beach, nella Casa Bianca d’Inverno di Mar-a-Lago, con un piano ben preciso: mettere sul piatto nuovi investimenti cinesi in Usa. Investimenti per parecchi miliardi di dollari, soprattutto su quei progetti infrastrutturali che Trump vuole rilanciare per creare posti di lavoro e ammodernare il Paese. Un piano da mille miliardi di dollari in dieci anni che il presidente americano dovrebbe presentare entro la fine dell’anno.

L’offerta di Pechino avrebbe un sicuro vantaggio: quello di permettere a Trump di mostrare agli americani un risultato concreto e immediato delle sue ripetute pressioni e minacce sul fronte dei dazi. Anche perché – concordano quasi tutti gli osservatori americani – il tycoon non ha ancora individuato la strategia da seguire nei confronti della Cina, prigioniero anche delle divisioni esistenti all’interno del suo staff. Ma assicurare altri investimenti cinesi in Usa (solo lo scorso anno sono ammontati a 45 miliardi di dollari) per Xi è solo la seconda mossa di un piano ben più complesso, avviato ancor prima dell’insediamento del tycoon alla Casa Bianca e che prevede una manovra avvolgente sulla famiglia Trump. Puntando sulle persone più vicine al presidente: la figlia Ivanka, che fa affari in Cina con la sua linea di moda, e il genero Jared Kushner. È a quest’ultimo che il presidente ha dato l’incarico di tessere le fila dei rapporti con Pechino, marginalizzando di fatto il segretario di Stato Rex Tillerson.

Ed è proprio Kushner che l’establishment cinese considera la chiave per entrare nel cuore della Casa Bianca, nello Studio Ovale. E se Tillerson è stato a Pechino per preparare il terreno alla visita di Xi, in realtà dietro le quinte sarebbero proprio Kushner e l’ambasciatore cinese a Washington Cui Tiankai al lavoro sulla dichiarazione finale del meeting in Florida. Con i due che hanno cominciato a lavorare a stretto contatto di gomito fin dalla telefonata Trump-Xi dello scorso febbraio. Chiamata organizzata per ricucire lo strappo provocato dal tycoon che, accettando una telefonata dal leader di Taiwan, aveva messo in discussione la policy statunitense di riconoscere una sola Cina, seguita fin dai tempi di Kissinger.