Diritti

Adozioni gay, ‘Dopo la nascita, la battaglia per avere mia figlia’. Vi presento Rory Cappelli

Dopo aver viaggiato in solitaria per 13 anni in ogni angolo del pianeta per scrivere i suoi noti reportage per la rivista “Viaggi” di Repubblica, oggi Rory Cappelli è una coraggiosa giornalista di cronaca nera. Così coraggiosa che non solo, tre anni fa, si è imbarcata nell’avventura più imprevedibile della sua vita, decidendo di concepire un figlio a Bruxelles con la sua compagna in un paese, l’Italia, che non ha una legge che tutela i genitori non biologici, ma adesso, a sentenza definitiva (la prima della Corte d’Appello di Roma), ci mette la faccia e affronta ogni domanda, ogni commento, ogni critica.

Rory Cappelli, foto di Chiara Pasqualini

“E’ stato un percorso molto emozionante – racconta – doloroso, difficile, ma anche illuminante. Mille gli stati d’animo miei e di mia moglie in questi anni, dalla speranza, quando i medici, sbagliando, dicevano che l’attuale madre biologica non sarebbe riuscita ad avere figli, alla gioia del risultato positivo dell’inseminazione, senza stimolazione e al primo tentativo. E poi tutta la gravidanza, tra apprensioni, desiderio, attesa, impazienza. Il parto? Che momento! Stavo per svenire – mentre lei spaventata diceva aiuto mi squartano – ma invece ho retto recitando Nam Myoho Renge Kyo, e sono stata la prima a vedere la nostra piccola Barbara, anzi, l’ho accompagnata io dai neonatologi!

“Il dolore e la fatica sono subentrati dopo, quando abbiamo deciso di ricorrere alle nostre tre avvocate di Roma e Firenze per vedere riconosciuti i nostri diritti – mi racconta Rory – Più che dolore, anzi, frustrazione, senso di ingiustizia, rabbia a volte, paura, umiliazione. Sono venuti a casa nostra assistenti sociali, psicologi, anche Paolo Capri, Presidente dell’Associazione Italiana di Psicologia Giuridica e nostro Consulente Tecnico d’Ufficio nominato dal giudice per effettuare la prima perizia mai ordinata su un omogenitore, che sarei io, per verificare la mia idoneità a fare la mamma. Mi hanno fatto una marea di test psicologici internazionali, comprese le macchie di Rorschach, roba durata settimane e settimane. Hanno periziato anche mia moglie, la bambina, i nostri rapporti a tre, e poi colloqui con i nonni, le educatrici dell’asilo, abbiamo dovuto scrivere perfino varie relazioni sul nostro rapporto. Un’interferenza nell’intimità di una coppia e di una famiglia dal sapore davvero amaro”.

A scrivere la sentenza di Cappelli, la seconda mai scritta nel nostro Paese, è stata il giudice Melita Cavallo, oggi in pensione ma primo lume acceso nella storia italiana per i diritti dei genitori omosessuali, autrice di ben sei sentenze storiche in tal senso. Impugnata, ha vinto tre anni dopo, ieri 13 febbraio, in Corte d’Appello a Roma, quando ormai già sette sentenze definitive dello stesso tipo erano state emesse su territorio nazionale in favore di ben sette famiglie: cinque a Roma (quattro in primo grado e una, l’unica, in Cassazione) e due a Torino (Corte d’Appello): “Sono felice, tanto, anche se penso che sia un disastro la mancanza di una legge. Come si fa a pensare che di centinaia di bambini italiani nati e cresciuti in famiglie omogenitoriali, solo quelli di otto famiglie abbiano i diritti che gli spettano, ossia quelli di vedere riconosciuti legalmente i propri genitori?”.

Le tre avvocate, Titti Carrano, presidente di Dire (Donne in Rete Contro la Violenza), con Sara Menichetti e Cecilia Adorni Braccesi di Firenze, sono felici e coinvolte: “Io mi sento la nonna della piccola Barbara – dice Adorni Braccesi – ormai mi sono affezionata, l’ho vista nascere e l’idea di aiutarla a raggiungere i suoi diritti mi ha riempita di orgoglio e amore”. Sono tre donne fantastiche, dice la Cappelli, professionali ma piene di calore e attenzione umana: “Sono venute anche al nostro matrimonio, del resto noi, loro, i giudici siamo i pionieri del mondo che verrà, come non emozionarsi?”.

 

Che tipo di madre è Rory? La mattina lava, veste e accompagna a scuola Barbara, poi va in redazione fino alle 23, torna, e se è necessario si alza lei la notte, quando la piccola ha paura, o sta male, o vuole le coccole. “Se Barbara vuole venire nel lettone, la notte, mia moglie si scaraventa per terra su un fouton perché tra calci, piedi in bocca e posizioni ad acca non riesce a dormire. Io non è che mi riposi moltissimo, ma è troppo bello sentire gli abbracci, le carezze e quei suoi ripetuti ‘Ti voglio bene mamma Rory, sei bellissima’. E poi la vedo troppo poco, voglio godermi ogni momento che posso“.

Ottimi anche i rapporti con le altre mamme della scuola materna: “Tutte solidali, forse un paio poco partecipi, ma le altre, grazie anche all’atteggiamento super social di mia moglie, sono più che disponibili non solo a creare relazioni di mutuo aiuto, ma anche a tessere legami di amicizia più approfonditi”. Per non parlare delle due maestre, commosse al recente matrimonio delle due mamme, coinvolte nel costruire una didattica inclusiva di Barbara e attente a fare tesoro di una situazione nuova: “Per noi poter seguire le due mamme e aiutare Barbara a crescere è una grande opportunità. Il mondo sta cambiando, noi abbiamo la fortuna di avere incontrato due pioniere e di poter vedere coi nostri occhi le differenze e le somiglianze di una famiglia così rispetto a una famiglia tradizionale. E poi il POF ci obbliga all’integrazione, è un compito che fa parte del nostro mandato”.

Anche la pediatra che segue la bambina, Carla Parisi, è felice: “E’ davvero una bellissima festa, questa. Ho conosciuto Rory al corso pre-parto qui da noi, dove partecipava insieme all’allora compagna, incinta. Due donne forti e fragili, vere, simpaticissime, coraggiose. Ci siamo subito trovate, e sono molto contenta di averle potute seguire e vorrei continuaree a farlo, non capita tutti i giorni di trovarsi nel centro della storia che cambia”.

Rory è raggiante, reduce da una luna di miele alle Maldive, con la piccoletta al seguito, primo congedo matrimoniale della sua azienda (che fu anche il primo giornale italiano a fare gli auguri a una mamma non biologica): “Il 2017 non me lo scorderò mai, ed è per questo senso di gratitudine – dice – che ho deciso di metterci la faccia, di raccontare, dire, far vedere. Spero di coinvolgere, informare, emozionare, commuovere. Le battaglie si vincono con la cultura, trasformando l’immaginario e gli stereotipi, facendo provare emozioni inaspettate e sorprendenti a chi è rinchiuso nei suoi pregiudizi. Anche io sono rimasta meravigliata da ciò che è accaduto nella mia vita: non credevo, da adulta, che mi sarei innamorata di una donna, che avrei avuto il coraggio e la fiducia di fare un figlio con questo salto nel buio, e poi di vincere una causa storica, fino a essere qui a raccontarmi, io che sono timida e detesto espormi. E invece, la vita è più forte delle nostre idee, e ci insegna a regolare le vele e andare a vedere”.