Cronaca

Inveruno, operai costretti a mangiare al freddo. Proprietario non si fida a lasciarli in conceria: “E’ per sicurezza”

Molti lavoratori si portano la classica "schiscetta" per risparmiare. Ma il titolare ha stabilito che, in sua assenza, nessun lavoratore può rimanere all’interno: "I dipendenti hanno stipendi adeguati, possono tranquillamente andare a pranzo in un bar o in un ristorante”

Costretti a mangiare al freddo. Cioè, considerata la stagione, a zero gradi. Succede a Inveruno, nell’hinterland milanese, dove il titolare della conceria ‘DZeta’ ha stabilito che, in sua assenza, nessun lavoratore può rimanere all’interno dei capannoni. Così, ogni giorno verso le 13, quando Angelo De Mitri e i suoi due figli se ne vanno a pranzo, pure i dipendenti – una quindicina in tutto – devono uscire.

Molti di loro, cittadini stranieri con pochi mezzi di sostentamento, vengono al lavoro in bicicletta o in scooter, portandosi la classica ‘schiscetta’ per risparmiare. Se fino a settimana scorsa potevano desinare in azienda, oggi sono obbligati a farlo in strada. A nulla sono valse le preteste e gli scioperi, messi in atto dalle parti sociali. Eugenio Busellato, sindacalista Cub, spiega come gli imprenditori abbiano opposto un secco diniego, rifiutandosi di aprire un tavolo di discussione. “Pensavano che alle nostre rimostranze seguisse un dialogo, invece nulla. Prima c’erano alcuni tavoli negli spogliatoi, dove i lavoratori si fermavano per pranzare. Nessuno si è mai lamentato. Oggi i dipendenti si trovano in una condizione disumana: non hanno il tempo materiale per tornare a casa in pausa e da giorni pranzano al gelo. Sono esterrefatto dal comportamento degli imprenditori”.

Ma l’azienda fondata da De Mitri, imprenditore di origini pugliesi venuto al Nord da giovane per cercare lavoro, mette in campo una difesa tutta giuridica, affidata all’avvocato Barbara Massarelli. “Non abbiamo fatto altro che applicare le disposizioni del decreto 81 sulla sicurezza: nessun lavoratore può stare in azienda, se non c’è almeno un responsabile. Del resto, di recente, un dipendente è stato sorpreso nell’atto di manomettere un macchinario che serve per ‘tirare’ le pelli. Questo sistema abbassa la qualità del prodotto finale e fa aumentare il rischio di infortuni. Verso quel dipendente è stato avviato un procedimento disciplinare e, nel contempo, si è deciso di rendere inaccessibile l’azienda durante la pausa pranzo. E’ una misura studiata per la sicurezza dei lavoratori”. Controreplica del Cub: “E’ impossibile manomettere un apparecchio, soltanto la casa madre può farlo. Curioso che i problemi siano cominciati nel momento in cui i lavoratori hanno deciso di iscriversi al sindacato. Davvero una strana coincidenza”.

Il citato decreto 81, tuttavia, è in vigore dal 2008. Perché l’azienda ha lasciato passare otto anni prima di attuarlo? “Le norme – continua il legale della ‘D. Zeta’ – sono sempre state poste in essere, mancava soltanto la chiusura della ditta in assenza dei titolari. Diciamo che, finora, i proprietari hanno usato una gentilezza verso i dipendenti, consentendo loro di pranzare all’interno dei locali. Ma fu un errore”. Eppure una soluzione ci sarebbe: basterebbe che un incaricato dell’azienda prestasse servizio in pausa pranzo. Ma la ‘D. Zeta’ non prende neppure in considerazione l’ipotesi: “Bisognerebbe pagare qualcuno apposta e non se ne capisce il motivo. I dipendenti hanno stipendi adeguati, possono tranquillamente andare a pranzo in un bar o in un ristorante”.