Cronaca

Riciclaggio, “spediti in Cina 3,7 milioni al giorno frutto di evasione fiscale”. Pm: colpa anche di normative europee

L'inchiesta della procura di Milano su un presunto traffico di denaro della comunità cinese frutto di illeciti che veniva trasferito nel paese asiatico grazie a una complessa rete di money transfer abusivi e società con base a Londra

Un sofisticato sistema di agenzie di money transfer abusive e società con base in Gran Bretagna. E’ la complessa organizzazione, scoperta dalla Procura di Milano, che avrebbe gestito un presunto maxi riciclaggio di oltre 2,7 miliardi di euro. Perquisizioni sono state eseguite dal Nucleo speciale di polizia valutaria della Gdf di Milano e della polizia nella ‘chinatown’ milanese e anche in quella della capitale.

“L’Italia sa che i soldi vanno a Londra, l’Italia non sa che i soldi vanno in Cina“, diceva uno degli indagati, intercettato, mentre descriveva il sistema, favorito però anche dalle normative europee e internazionali, di trasferimento di un ‘mare’ di soldi illeciti della “comunità cinese”, “frutto di evasione fiscale”, da Milano e in parte anche da Roma nel Paese asiatico. Denaro, come emerge da un’altra telefonata, di “criminali”.

L’indagine, coordinata dai pm Giordano Baggio e Grazia Colacicco, tra il 24 e il 29 novembre scorso, ha portato al fermo di Javier Ronald Abbate Baddouh, 42 anni, nato in Paraguay e domiciliato a Milano, “vertice organizzativo” del gruppo, come scrive il gip Valerio Natale. Mentre un’ordinanza di arresti domiciliari è stata eseguita a carico di Luigi Del Principe, romano di 41 anni, ritenuto “l’alter ego organizzativo” di Baddouh, e di Jiaqui Liu, cinese di 29 anni che manteneva, secondo l’accusa, “i rapporti con la comunità e con le istituzioni finanziarie cinesi”. Dalle ricostruzioni, emerge che un certo Luigi e Deli Zheng, due cinesi, avrebbero “invitato” Baddouh e Del Principe a “diventare il punto di riferimento” per il riciclaggio di denaro di “imprenditori” della “comunità cinese”. E così la banda sarebbe riuscita a raccogliere quasi 3 miliardi di euro di “nero” in due anni, al ritmo di “3,7 milioni di euro al giorno”.

Nell’inchiesta, nata da un esposto anonimo e da alcune segnalazioni su operazioni sospette (ha collaborato anche l’Unità di informazione finanziaria di Bankitalia), vengono contestati l’associazione per delinquere finalizzata all’abusivo esercizio di attività finanziaria, abusiva prestazione di servizi di pagamento, riciclaggio, autoriciclaggio e reati fiscali. Tra gli indagati non arrestati, italiani e cinesi, oltre ad un avvocato e ad un commercialista, figura anche Imran Qadeer, che, come si legge nell’ordinanza, avrebbe avuto il “ruolo di front man verso le autorità di vigilanza inglesi” con le quali è riuscito a “celare la reale attività del sodalizio criminale”. Tanto che negli stessi atti dell’indagine vengono evidenziate una serie di “criticità” dell’attuale “sistema antiriciclaggio” a livello sovranazionale.

Il denaro accumulato in contanti dai money transfer abusivi gestiti da cinesi, a Milano e non solo, sarebbe stato, come chiarisce il gip, “sistematicamente trasferito all’estero mediante bonifici bancari sui conti correnti accesi nel Regno Unito e da essi poi trasferito ai beneficiari finali” in Cina, non individuati. Dalle carte dell’indagine, oltre al ruolo delle società basate a Londra, salta agli occhi il ruolo dell’agenzia Cronosprint che, malgrado “carenze agli obblighi dichiarativi e d’iscrizione agli albi”, avrebbe incamerato soldi, “intrattenendo rapporti bancari a Milano con Bpm, Mps, Carige, Cariparma, Poste Italiane – scrive il gip – e movimentando complessivamente oltre 500 milioni di euro”, tra il 2013 e il 2014. “Se sposto così tanti soldi per persone cinesi, facendogli risparmiare tantissimo in tasse (…) dobbiamo aumentare il nostro guadagno”, diceva un indagato intercettato.