Politica

De Luca e clientele: ‘I voti non puzzano’, ora lo dice anche Fabrizio Barca

Così fan tutti! Doveva capitarci di ascoltare da Fabrizio Barca, che delle buone pratiche in politica ha fatto ragione di vita, la sentenza di assoluzione di Vincenzo De Luca, il presidente della Campania che invita ad andare casa per casa, e raccogliere, lisca per lisca, tutto il pesce che l’onda dei fondi europei, e degli altri finanziamenti pubblici, conduce a riva. Pesca a strascico, s’intende. Lui, Fabrizio Barca, il denunciante rigoroso e perciò isolato delle devianze che hanno portato il Pd a sparire come corpo organizzato e sopravvivere come ente di gestione delle clientele, lui, proprio lui, che ha indicato nell’emersione dei feudi locali i sostituti funzionali dell’apparato, adesso spiega, trasfigurandosi in un cursore del Nazareno in debito d’ossigeno, che quello di De Luca è soltanto un effetto scenico. Tolto l’audio picaresco resterebbe il valore intrinseco della politica di sinistra: fare opere e organizzare il consenso. “Non c’è voto di scambio” nell’intruppamento militaresco con il quale De Luca raccoglie gli aspiranti vassalli e impone loro di portare a casa, per domenica prossima, almeno il 50 per cento dei voti validi.

Soldi contro voti, opere contro voti. Questa è la politica, così si fa politica dice un inguardabile Barca. Lui che sulla qualità dei fondi europei ha speso una vita, sulla scarsa tempra morale delle classi dirigenti locali ha investito tempo e ogni energia, lui che ha battuto il Paese alla ricerca di talenti dispersi e ansimanti, oggi riconduce alla normalità clientelare la pratica convenzionale. Poteva ben scegliere di affrontare il suo voto referendario che dopo lunga indecisione è virato verso il Sì, senza insultare la ragione sua e quella di molti suoi compagni campani che hanno dovuto abbandonare la politica o il partito, espulsi dal metodo deluchiano.

Barca non sa o fa finta di non sapere che De Luca ha dapprima modificato il suo linguaggio, rendendolo deliberatamente triviale e fascistico, sul quale ha poi innestato un dominio familiare, chiuso a qualunque contributo esterno. Ha messo i due figli a fare i capibastone: l’uno a Salerno, l’altro in Campania. Ha scommesso, nello scambio tra la democrazia e i lavori pubblici, sul silenzio degli affamati e l’accondiscendenza di una classe imprenditoriale che dell’impresa ha solo la partita Iva. Ha programmaticamente ingaggiato nel suo partito personale figuri che sono degni rappresentanti dell’epopea gavianea. Ha irrobustito le liste elettorali di raccoglitori di voti, uomini e donne senza arte né parte, senza passione né compassione per chi ha vissuto il sogno di una società più giusta più libera e più pulita. Già, era solo un sogno. Così fan tutti, non è vero? E lui, meglio degli altri, perché almeno taglia nastri, edifica, promuove, organizza, indica la via. De Luca è esattamente l’uomo del fare, ricorda Berlusconi. Fare e a prescindere. Fare senza mai poterlo contraddire. Lui fa, noi applaudiamo. L’ombra non del voto di scambio ma di qualcosa di più e di peggio grava sulla sua persona che ha acquisito, e giustamente, una centralità sulla scena politica.

Caro Barca, De Luca non è il senatore Razzi, non riduca alle gag di Crozza il suo indice di popolarità. Le chiedo: fin quando il Sud avrà bisogno di padroni per tenerlo a bada, quale riscatto, quale orgoglio, quale progresso? Caro Barca, dica qualcosa di sinistra, se può.